Sabrina Ciccarelli

Sabrina Ciccarelli

“Ti preoccupi troppo di ciò che era e di ciò che sarà.

Ieri è storia, domani è un mistero, ma oggi è un dono, per questo si chiama presente”

Maestro Oogway

Il maestro Oogway consegna queste parole al suo discepolo che lo ascolta attentamente spalancando gli occhioni grandi da panda davanti a tale meravigliosa rivelazione.

Si dice che questa piccola formula segreta del saper vivere felicemente fosse già uscita dalle labbra della famosa attivista per i diritti civili Eleanor Roosvelt, ma si sa, un cartone animato emoziona più di cento libri di storia! 

E così, anche io mi trovo a citare Kung fu Panda, felice di farlo, complice il fatto che a doppiare il protagonista della nostra storia sia uno dei miei artisti preferiti...  :D

Ma perché questa frase ha un così grande impatto su di noi? E perché lo scambio queste parole si è trasformato in una delle vignette più pubblicate sui feed dei vari social?

Una possibile ragione è che, sebbene ogni essere umano conosca l’inestimabile valore dell’attimo presente, ci sia sempre bisogno di fermarsi un secondo o due a riflettere, prima di … ricordarsene!

Piuttosto paradossale il doversi rammentare dell’esistenza di noi stessi nel presente… ma se ci pensiamo bene è una capacità non così scontata.

Da tempo immemore i migliori maestri spirituali e ora anche i miei colleghi psicoterapeuti invitano a tenere a mente una profonda verità: il passato è solo un ricordo e il futuro è solo un’aspettativa. Entrambi hanno vita solo nel momento presente.

Questa consapevolezza può davvero farci riconoscere il potere immenso del vivere nel "Qui ed ora", essendo questa l'unica realtà in cui essere vigili, attenti e in grado di scegliere comportamenti efficaci. Essere attenti e presenti ci evita di reagire in modo automatico agli stimoli, e può donare un senso vero a ciò che stiamo facendo nel mondo, letteralmente cambiando la  nostra vita … in meglio!

Sovrappensiero è un posto bellissimo. Oppure no?

Un tempo ero affascinata da una frase che mi capitava spesso sotto agli occhi. Recitava così: “Sovrappensiero è un posto bellissimo”.

Da persona con un’accentuata vena creativa, ho sempre pensato che l’immaginazione fosse un magnifico posto da “abitare”.

Saper vivere in una dimensione parallela sganciata dalla spesso amara realtà, avere un posto assicurato negli spalti della fantasia e riuscire a costruire una “bolla” isolata dagli accadimenti in corso era, nella mia limitata idea, utile ed in alcuni momenti addirittura salvifico. Chi fa un lavoro che lo mette sotto stress può capirmi, come chi assiste una persona malata, o anche come chi, come me, ha o ha avuto figli piccoli, minuscoli organismi animati da forze indistruttibili che parlano ininterrottamente e  richiedono ogni grammo di energia. 

A volte, staccarsi per pochi nanosecondi dal proprio corpo riuscendo a ritrovare uno stralcio di pensiero proprio … per quanto marmellatiforme, beh, può avere il proprio sacrosanto perché! ;)

Questo pensavo tempo fa, nella mia poetica visione della fantasia e dell’immaginazione. Poi ho scoperto la Mindfulness  e ho capito l’immenso pericolo che corriamo tutti, nella vita, a non essere presenti e padroni della nostra attenzione. 

La distrazione disturba continuamente il nostro essere nel Qui ed Ora. Essa è un nemico invisibile che, come un insaziabile virus, mangia voracemente il nostro tempo.

Ma quanti di noi ne sono davvero consapevoli?  Quanti pensano ancora che “sovrappensiero” sia un posto bellissimo? Se così fosse, alla fine di questo articolo ne resteranno ben pochi :)

La distrazione. Un pericoloso virus mangiatempo

“Mamma, sei distratta!”, “Amore, hai lasciato la macchina aperta”, “Sorella, hai messo su la macchinetta del caffè senza acqua dentro”.

Devo dire, non senza un po’ di imbarazzo, che mi capita spesso che certe frasi siano dirette proprio a me, e nei periodi in cui passo molto tempo a scrivere noto che il mio essere “assente” si intensifica e diventa visibile anche agli occhi più distratti :D

Ci sono dei momenti, però, in cui la mia attenzione è al massimo. 

Mi capita quando riesco a fermarmi qualche minuto a coccolare i miei figli (quei pochi attimi in cui ancora me lo consentono!), quando pratico la mia ora di hip hop, quando mi occupo del giardino e dei miei animali, e soprattutto, mi accade quando lavoro. 

Nel momento in cui il paziente parla di sé, le mie antenne invisibili sono al massimo dell’estensione. L’attenzione è accesa a mille e tutti i miei problemi restano fuori dalle pareti dello studio, così come i miei programmi, i dolori e le gioie che non appartengono al momento presente. In quel lasso di tempo magico esistiamo solo io e la persona seduta davanti a me, i quadri, le poltrone, il sole che filtra dalle tende della finestra, l’acqua fresca che tengo a portata di mano. La mia coscienza è pronta a captare ogni informazione, ogni segno, ogni collegamento sommerso che possa aiutare a portare luce sulla strada che stiamo percorrendo insieme.

È una sensazione molto bella quella di vivere intensamente il momento presente, senza ombre e senza ganci che possano portar via l’attenzione dalle sensazioni e dai pensieri che viviamo in quel preciso attimo che scorre.

Sono sicura che chi sta leggendo le mie parole abbia ben presente lo stato di coscienza che sto descrivendo, indipendentemente dal momento e dal modo in cui si è provata quella meravigliosa sensazione di vigilanza.

Rimanere nel momento presente senza giudizio e senza distrazioni non è però un'operazione così semplice da realizzare. La distrazione, infatti, è una bella piaga per ogni tentativo che facciamo di essere vigili e presenti, ed è un fenomeno sempre pronto a danneggiare la nostra capacitò di prestare attenzione a ciò che facciamo. Come uomini e donne moderni, siamo sottoposti ad un numero sempre maggiore di stimoli e anche se il cervello è un organo predisposto a saltellare da un compito ad un altro, nel tentativo costante di salvarci la vita, non sempre riusciamo a concentrare la dovuta attenzione sulle nostre azioni.

Quante volte può essere capitato di metterci seduti a leggere, con la brezza estiva che filtra dalla finestra e un piacevolissimo sottofondo di grilli e cicale, l’odore del caffè appena uscito che pervade la stanza, il libro fra le mani ma… la nostra mente si trova a vagare fra il significato delle parole lette ed il timore che la data del nostro esame si presenti con troppa velocità, tra il piccolo rimorso di aver mangiato troppi carboidrati a pranzo (benedette lasagne di nonna!) e la rabbia per come ci ha trattato il nostro compagno?

Siamo umani, la nostra attenzione è un processo complesso e volubile che per la sua velocità di azione ci è molto utile a riportare ogni giorno la pelle a casa, ma che cade spesso preda di numerosi richiami che poco hanno a che fare con i reali pericoli per la nostra sicurezza. Se lasciamo spazio alla tentazione di distrarci mentre il professore parla, poco male, al massimo rischieremo di dover studiare un po’ di più a casa. 

Ma se questo vagabondare “sovrappensiero” mina la qualità del nostro tempo, rendendoci sempre più distaccati da ciò che accade intorno a noi e sempre meno connessi con la magia del “Qui ed ora”… allora intere fette di vita rischiano di scorrere fra le nostre dita come sabbia, senza che ce ne rendiamo neanche conto e senza che ci godiamo a fondo tutto il sacro della vita che è racchiusa in ogni istante. 

La mente è un organo che assomiglia ad un oceano di pensieri in tempesta. Allenare la capacità di restare vigili permette di migliorare la nostra vita

La nostra mente, malgrado molte persone si siano ingenuamente identificate con essa, è solo un organo come tutti gli altri presenti nel nostro corpo e come tutti gli altri organi essa possiede una funzione: anticipare e prevenire tutti i pericoli che possiamo incontrare durante il nostro cammino.

La mente umana si è talmente evoluta e specializzata nella sua funzione di prevedere la realtà che può essere definita un vero e proprio “simulatore” di esperienza. 

Essa fatica a restare ferma e lucida nel momento presente poiché è impegnata in un moto continuo tra ricordi di esperienze fatte e aspettative di accadimenti futuri, movimento che si traduce in un chiacchiericcio interno fatto di giudizi, commenti, consigli, interrogativi, previsioni, dubbi, sentenze. 

Molto del malessere psicologico che sperimentiamo durante il corso della nostra vita non deriva da fatti concreti che la nostra mente affronta nel momento che stiamo vivendo, ma dal tentativo di pre-occuparci di situazioni già successe o non ancora accadute. Facciamoci caso: se analizziamo i nostri pensieri fastidiosi o molesti vediamo che essi sono spesso legati alla paura, alla preoccupazione e all'ansia per qualcosa che in quel momento non è presente, ma che si è verificato in passato o può materializzarsi in futuro.

 “Noi non soffriamo per i fatti, ma per la rappresentazione che noi abbiamo dei fatti.”

Epitteto

L’essere umano vuole evitare di ripetere i vecchi errori del passato e non vuole assolutamente  commetterne di nuovi.

In questo incessante lavoro di ricordo e previsione, la mente assomiglia ad un oceano di pensieri in tempesta e se non siamo bravi a tener forte la barra del timone, regolando costantemente le vele, rischiamo di scarrocciare ovunque la corrente di pensieri decida di portarci.

Se non prestiamo abbastanza “attenzione" al “Qui ed ora” potremmo spalancare la porta alle distrazioni, rischiando di non concentrarci sugli eventi che stanno accadendo e lasciando che siano gli automatismi a guidare i nostri comportamenti, mentre noi, comodamente, pensiamo ad altro! 

Accade, per esempio, mentre mangio un panino e nel contempo scorro le notifiche sul cellulare. La mia attenzione si allontana dall’esperienza del mangiare e si concentra su ciò che leggo. È inutile dire quanto io ci perda in termini di soddisfazione e godimento del mio pranzo! 

Lo stesso capita quando ci roviniamo gli ultimi attimi liberi della domenica sera, al solo pensiero della sveglia il lunedì. In quel momento siamo oggettivamente liberi, ma la nostra mente crea la propria prigionia, anticipando il momento di difficoltà. 

Il fatto poi di essere immersi in una realtà sociale che ci obbliga ad avere tempi sempre più stretti e ad essere incastrati in tabelle di marcia sempre più ambiziose, non aiuta certo a recuperare la nostra presenza mentale.

I nostri pensieri ci spingono ad essere sempre un minuto avanti rispetto al momento che stiamo vivendo: i prodotti mentali corrono su e giù nelle diverse dimensioni temporali, lasciandoci spesso stanchi, svuotati e scontenti. La sensazione più terribile che si può provare vivendo con il pilota automatico inserito è quella di non essere padroni del nostro tempo. 

E così potrebbe accadere di andare a dormire pensando a quando ci dovremo alzare e di alzarci pensando a quando torneremo a dormire… Non è certo augurabile una vita così!

La capacità di essere presenti a noi stessi, e di sapersi concentrare la nostra attenzione sulle azioni che compiamo nel "Qui ed ora" ci aiuta ad assaporare meglio i momenti che stiamo vivendo, dilata la nostra personale percezione del tempo e aumenta il nostro livello di felicità percepita. 

Per allenare l’attenzione dobbiamo iniziare a fare una cosa importantissima: prendere consapevolezza della nostra assenza.

Mettere attenzione in ciò che facciamo è una capacità che, se allenata correttamente, porta grande beneficio alla nostra vita. Ecco qualche esercizio per iniziare a migliorare la nostra consapevolezza

Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, passiamo gran parte del nostro tempo agendo in modo meccanico, senza dare la giusta attenzione a ciò che ci sta accadendo nel momento presente. Attraverso dei semplici esercizi offerti dal generoso bacino della Mindfulness possiamo riappropriarci della nostra attenzione, e con essa, della qualità del nostro tempo. Ne propongo un paio per iniziare il nostro allentamento : ) 

Esercizio 1

Elenca tutte le attività che hai svolto da quando hai aperto gli occhi e assegna ad ogni azione un punteggio che valuti in che misura eri presente durante il suo svolgimento. Accanto al voto appuntati le azioni che  stavi eventualmente affiancando agli automatismi. 

Esempio: Azione: Guidare fino al lavoro. Voto presenza: 7/10. Azioni secondarie : programmare la giornata, sognare la vacanza, fare la lista mentale della spesa (ecc...)

Alla fine di questo esercizio scegli una sola di queste azioni che hai compiuto con il pilota automatico inserito e prova a vivere per una settimana quell'esperienza, dall'inizio alla fine, concentrandoti solo quello notando quando ti distrai dall'azione che stai compiendo. Puoi aiutarti usando dei bigliettini colorati, un timer, o cambiando piccoli dettagli nello svolgere l'azione  che possano ricordarti il tuo impegno. Per esempio: puoi mangiare utilizzando la mano sinistra sei sei destrorso, e viceversa se sei mancino, in modo che l'azione diventi più difficile e concentri maggiormente l'attenzione su ciò che stai facendo in quello specifico lasso di tempo.

Il secondo esercizio l'ho preso integralmente dal libro  “Facci caso. Come non farti distrarre dalle sciocchezze e dare attenzione a ciò che conta davvero nella vita”, di Gennaro Romagnoli, poiché lo trovo un ottimo modo per allenare la nostra consapevolezza, ed è di facile realizzazione in qualunque momento della nostra giornata! Vediamolo insieme:

Esercizio  2

"Fai una passeggiata nel luogo in cui vivi e cerca almeno due o tre elementi che ti sembra di non aver mai visto. Evita di cercare cose nuove, poiché in qualsiasi luogo tu viva sono convinto tu possa trovare due o tre particolari su cui non hai mai riposto la tua attenzione. Più cose riesci a trovare più bravo sei! Da più tempo erano presenti, magari una casa antica od un albero secolare, e più significa che stai allargando la tua consapevolezza". (Facci caso" di Gennaro Romagnoli, cap."Ti presento la tua attenzione")

Questo esercizio ci aiuta a capire che l'attenzione non è un processo passivo che viene attivato da ciò che ci interessa, ma, al contrario è un'abilità che può essere allenata. Concentrare quell'energia su ciò che riteniamo importante nella nostra vita porta indubbiamente molti vantaggi in ogni ambito, persino in quello dei rapporti interpersonali,  ed il dott. Romagnoli ci accompagna, capitolo dopo capitolo, in questo difficile, quanto necessario miglioramento. 

È piacevole leggere il libro e notare quanto l'allentamento quotidiano proposto dagli esercizi possa regalare ogni giorno delle piccole, preziosissime sorprese! Se potessi, inserirei il manuale del collega fra testi obbligatori di scuola superiore ;) Per il momento, mi limito a consigliarne la lettura! 

Conclusioni

Saper vivere nel presente senza essere preda della distrazione ha un effetto molto benefico sulla nostra vita e sulle nostre relazioni.

Uscire dal circuito del pensiero giudicante e dal tunnel delle preoccupazioni ci rende persone più equilibrate, gentili con noi stesse e migliora in maniera significativa anche i legami che stabiliamo con gli altri.

La meditazione è la strada maestra per allenare la nostra capacità di “stare” nel presente, ma esistono tanti modi per rinforzare il “muscolo” dell’attenzione, anche partendo da piccoli esercizi da fare quotidianamente.

Nel caso in cui i pensieri diventassero di difficile gestione e la lettura di un articolo o di un buon libro non bastasse ad alleggerire il carico di emozioni ingombranti che sentiamo invaderci,  potrebbe essere utile contattare uno psicoterapeuta.

A volte basta un solo colloquio per recuperare l'equilibrio perso e mettere ordine fra pensieri ed emozioni :)

 

 

 

 

 

 

Pochi giorni fa ho partecipato ad una riunione molto piacevole che si è tenuta fra noi membri del consiglio direttivo dell’ABC Famiglia e Stefano Censoni, fondatore con Marco Rinelli, di BeeInclusion. BeeInclusion è il primo motore di ricerca per il sociale a 360°, una piattaforma che ha come scopo quello di aiutare le persone a trovare ogni tipo di “servizio accessibile” all’interno di una determinata area geografica. Oltre a fornire l’indirizzo di alberghi, ristoranti, centri sportivi, servizi di svago e di consulenza (ci sono oltre 200.000 servizi dotati di certificazione disponibili sul motore di ricerca) Stefano e Marco si pongono l’obiettivo di organizzare eventi sociali ed occasioni di formazione sul territorio per diffondere un messaggio importante: "la diversità non è un limite". 

Nella mia esperienza di terapeuta, posso dire di essere d'accordo con il pensiero di Stefano e Marco. La diversità non è un limite se esiste alle nostre spalle un bagaglio di cultura che permette di valorizzare ciò che la diversità porta con sé. È proprio questo bagaglio che BeeInclusion, insieme alle più importanti realtà associative del territorio di Ostia, sta cercando di costruire, ed è una battaglia alla quale io, insieme ai colleghi dell’ABC Famiglia non possiamo che unirci con grande entusiasmo.

“Il senso della vita. La diversità. Dire si all'inclusione”

Tempo fa, grazie al gradito invito di Stefano Censoni, ho avuto l’onore ed il grande piacere di partecipare ad un evento organizzato dalla Sofi Association (Superare Ogni Forma di Isolamento) e dall’istituto "Giovanni Paolo II" di Ostia. La videoconferenza, intitolata "Il senso della vita. La diversità. Una splendida occasione per onorare il giorno della global Accessibility Awareness Day e dire si all'inclusione" è stata realizzata in collaborazione con BeeInclusion e Roma Cares, con il patrocinio di Opes per ribadire il valore delle diversità come elementi da preservare. La diversità, infatti, è diventato finalmente un tema di cui si parla, un tema che ha acquisito un vero e proprio valore sociale. Lo sport è il filo conduttore della videoconferenza. La testimonianza degli atleti ospiti, infatti, è decisiva per capire e trasmettere il grande valore che ha lo sport nella crescita degli individui e nell’immenso potere di dare valore alla diversità. 

Arturo Mariani, scrittore ed ex calciatore della Nazionale italiana di calcio Amputati del Cts, Salim Chakir, cestista sulla sedia a rotelle dell'Asd Santa Lucia Basket, Francesco Pastorella, consulente di Roma Cares, ed il calciatore Simone Perrotta hanno raccontato le loro esperienze di vita agli studenti connessi. Tra di loro gli atleti delle giovanili della Roma

 

Arturo Mariani: il vero disabile è chi ha dei blocchi mentali che gli impediscono di fare ciò che vuole

Il primo a parlare della propria esperienza è Arturo Mariani, calciatore, coach e scrittore di quattro libri, tra cui  "Nato così". . Inizia la conferenza introducendo il potere magico che ha il termine “scelta” nel trasformare le nostre vite. La parola scelta ha avuto una ruolo decisivo nella sua esistenza. I suoi genitori sanno in anticipo che Arturo nascerà senza una gamba e con la possibilità di sviluppare altre patologie. Nonostante i dubbi e le paure essi scelgono per lui la vita.

- La scelta ce l’abbiamo ogni giorno - continua Arturo. - Siamo noi che possiamo decidere come affrontare la nostra giornata, possiamo scegliere se annoiarci o vivere bene. Divertirmi, oggi, è il mio principale obiettivo. -  

Arturo appare sorridente e ottimista. Aver attraversato mille difficoltà lo ha reso una persona forte ed equilibrata, e gli ha permesso di raggiungere i traguardi che si è prefissato, nonostante l’iniziale indiscutibile posizione di svantaggio. Egli racconta che nel corso della sua infanzia molte persone volevano demotivarlo. 

- “Sei senza una gamba”, mi dicevano. Io stesso focalizzavo la mia attenzione su tutto ciò che mi mancava, su ciò che non andava, lamentandomi per ogni cosa. In quel momento stavo chiudendo la possibilità ai miei sogni. -  

Dopo una lunga crisi Arturo racconta di aver capito l’importanza di scegliere, e urla al mondo il suo cambiamento togliendo la protesi che lo aveva accompagnato fin da piccolissimo, il prezioso strumento che lo faceva sentire “normale”  ma che gli toglieva la libertà e lo spazio per esprimere la propria forte individualità e la sua passione più grande: il calcio. 

- Ogni volta che ci liberiamo delle nostre protesi mentali facciamo una scelta che ci fa stare bene. Quando scegli lì per lì c'è una grande sofferenza, ma passare da “avere un gamba in meno” ad “avere una gamba” vuol dire aprire lo sguardo sulle possibilità. Da quel momento ho scoperto che esistevano altre persone con una gamba sola e non solo … C’erano persone che con una sola gamba giocavano a calcio! Francesco Messori stava infatti formando una squadra proprio in quel momento e da lì si è aperto per me un nuovo mondo di esperienze. Il passaggio fondamentale è avvenuto dentro me stesso - continua a raccontare Arturo - Quando ho preso coscienza delle mie capacità. Sono entrato in Nazionale e sono stato convocato per il mondiale, avevo una paura folle e invece in Messico abbiamo avuto la vittoria più bella, e da quel momento è stato uno scoppio pazzesco di accadimenti da cui sono nate altre mille cose da fare. Solo aprendo la nostra mente, capendo che “essere disabili” è solo un problema mentale che abbiamo dentro possiamo raggiungere i nostri sogni. Il vero disabile è chi ha dei blocchi mentali che gli impediscono di fare ciò che vuole. Quando tocchi con mano quella cosa impossibile, ciò che hai sempre desiderato, dentro di te nasce una sensazione di benessere e di sicurezza e lo vuoi gridare la mondo! - 

È cosi che Arturo ha cominciato a gridare al mondo il suo messaggio, per aiutare tutti quei ragazzi che sono bloccati dalla paura di non farcela, o dal timore del giudizio degli altri. Secondo l’atleta ognuno di noi ha un sogno che sembra impossibile e, usando le sue parole, “svaghiamo” per non pensarci. Sono la mentalità, i blocchi, i pregiudizi i nostri veri nemici. Molte persone fanno meno cose di quello che sono in grado di fare, solo per evitare di mettersi in gioco. 

Quante volte tutti noi ci lamentiamo di ciò che non va, piuttosto che riconoscere tutte le fortune nelle quali siamo immersi? Quante volte ci è successo di puntare lo sguardo sulle nostre mancanze, piuttosto che sui nostri punti di forza? La strada per la felicità è lastricata di... "buona autostima", scrivevo in un precedente articolo, e scegliere che atteggiamento avere verso ciò che ci accade nella vita è davvero il primo passo verso lo scegliere comportamenti che ci porteranno beneficio o svantaggio.  

Ecco perché è importante seguire i consigli di Arturo da prima di subito:

  • Scegliere. Aprire la mente alle possibilità, riconoscere l’altro come individuo che ha lo stesso pensiero di voler crescere e realizzarsi
  • Credere. Credere nelle nostre possibilità. Riuscire a motivare se stessi e gli altri, agire in un gioco di squadra che regala gioia e soddisfazione ad ognuno.
  • Sorridere e divertirsi. Se incontriamo qualcuno diverso sorridiamo. Fa bene noi a chi ci sta davanti. 
  • Restare aperti. Dire “si” e non “no”, quello è il vero coraggio. Il coraggio e la determinazione che i ragazzi devono assimilare. 

Salim Chakir: la mia speranza è essere ogni giorno un giocatore migliore di ieri

La seconda testimonianza è quella di Salim Chakir, ala grande dell'Asd Santa Lucia Basket, squadra italiana di pallacanestro in carrozzina. Salim ha 20 anni e racconta di avere il sogno di giocare in Nazionale. Come tutti i ragazzi vuole viaggiare, esplorare il mondo e conoscere tanti giocatori nuovi dai quali imparare ad essere un giocatore ed una persona migliore. Tra i suoi sogni c’è anche quello di studiare medicina e di continuare con lo sport finché gli sarà possibile.

- La mia crescita non è stata un’operazione facile. - esordisce Salim - Ho raccolto molta cattiveria, frutto di ignoranza. Noi disabili spesso non veniamo capiti, siamo esattamente come tutti, abbiamo gli stessi pensieri di gioia e di tristezza degli altri e quando arrivano gli insulti rimaniamo confusi e spaesati. Si perché la maggior parte delle offese che ci arrivano sono immeritate e ci arrecano solo tanto dolore. Un disabile quasi sempre sa muoversi nel proprio mondo, è abile e capace di organizzare la propria vita quotidiana, quindi le cose che ci vengono dette, che vorrebbero farci sentire inferiori, non hanno basi di verità. Adesso, se mi guardo indietro, mi dispiace di aver perso tutto quel tempo a dare ascolto a certi giudizi! Se mi hai giudicato solo per la diversità, trascurando tutto il resto, non vedendo ciò che di bello c’è in me, sei tu a perderci! - 

Questa frase di Salim mi colpisce molto. In molte situazioni mi trovo ad aiutare le persone in stanza di terapia a combattere la sofferenza o la paura che deriva dal giudizio altrui.  Quante volte ci arrivano dei giudizi che ci mettono in crisi? A guardar bene però, le frasi o le critiche che riceviamo molto spesso non riguardano noi, ma molto di più chi le emette. Esiste un detto che dice “Ogni volta che punti il dito verso qualcosa o qualcuno, tre dita puntano verso di te”. Nella mia esperienza di terapeuta, è molto facile che le persone che giudicano molto, sono proprio quelle che non sono felici di ciò che sono. Chi conduce una vita piena, chi si sente realizzato, ha veramente poso tempo da dedicare alle critiche e ai giudizi delle vite altrui. Non è facile però, specialmente quando si è molto giovani, difendersi e proteggersi dal dolore che le parole procurano.

Vivere le violenze, i litigi, gli insulti è stato per Salim un vero trauma, per quello oggi parla davanti a tanti giovani della sua esperienza, per evitare che tutto ciò che ha subito possa accadere nuovamente a qualcun altro. 

- Ogni volta che qualcuno vi svaluta fermatevi a riflettere, chi ci ha insultato? Perché lo sta facendo? Tutto ciò non ha un vero senso. Sentirsi a disagio è stupido. Invece di affliggervi ragionate sopra a ciò che vi viene detto e se ha un senso prendetelo come spunto per migliorare. Nessuno ha niente che non vada, e nessuno incarna l’immagine che la società richiede. C’è chi è troppo alto, basso, grasso, magro, chi ha i brufoli, chi le rughe. Non c’è niente che non vada in voi! Il consiglio migliore che io abbia ricevuto e che mi sento di ridare indietro è : “Accetta te stesso”. Un altro consiglio che posso dare è quello di cercare di essere curiosi, farvi sempre domande, allontanarvi dall’ignoranza. Chiedetevi ogni volta come possono vivere gli altri la propria condizione, immedesimatevi nei panni degli altri. - 

Sono molto colpita dal racconto di Salim, sarà perché ho dei figli della sua età e sentire la sua sofferenza parte di me è davvero un'operazione istantanea! Dalle sue parole traspare tutta la fatica che ha fatto nel nuotare controcorrente, nel non crescere con il cento per cento del supporto che tutti i bambini dovrebbero ricevere da ogni adulto che. incontrano sul proprio cammino. Dopo aver raccontato le sofferenze della propria crescita gli occhi di Salim si accendono improvvisamente, ed è il momento in cui inizia a parlare del suo grande amore: il basket.

- Quando sono stato invitato a partecipare al basket per disabili ero diffidente, ma mi sono innamorato subito di quello sport. Fare sport a quei livelli è davvero meraviglioso!  -

Mentre Salim parla mi chiedo quale sia la chiave della felicità per lui, oltre al basket, ovviamente :). Trovo la risposta nelle sue parole conclusive. 

- Sono le relazioni la mia vera forza. Il meraviglioso legame con mia mamma e poi con gli amici, e adesso con la fidanzata. Gli insegnanti, tutto l’affetto ricevuto mi hanno fatto crescere così forte. - 

Sorrido mentre lo ascolto e prendo appunti, penso che questo ragazzo abbia le carte giuste per arrivare lontano e per insegnare a molti suoi pari come trovare forza nel difficile cammino che la crescita impone a tutti. E se c’è qualcosa, anche piccola, che possiamo fare noi adulti per aiutare altri ragazzi come Salim a sentirsi forti, giusti, nel proprio posto del mondo, allora prendiamo i consigli che ci ha donato e portiamoli sempre con noi, ovunque andiamo. Combattere l’ignoranza e la stupidità non dovrebbe essere cosa difficile se lo facciamo insieme. 

 I consigli di Salim:

  • Segui i tuoi sogni e pratica le tue passioni
  • Non perdere tempo con i giudizi degli altri
  • Accetta te stesso
  • Combatti l’ignoranza e la stupidità 
  • Fatti domande
  • Sii empatico 

Simone Perrotta: dobbiamo fare gioco di squadra per cambiare i nostri pensieri legati alla diversità

- Di fronte a questi racconti di vita la mia testimonianza si riduce di importanza. Quello che posso raccontare è la mia esperienza nel mondo dello sport. Il calcio mi ha dato la possibilità di essere ciò che sono e quindi gli sarò per sempre grato  - 

Quando Simone Perrotta inizia a parlare mi conferma l’idea di persona buona e gentile che mi son fatta di lui negli anni. Abitando nella la stessa zona è facile incrociare le rispettive traiettorie, in palestra, per strada, al bar, e posso dire di averlo sempre visto educato e sorridente con tutte le persone che incontravano il suo cammino.  E anche oggi, con queste parole di esordio, non mi delude.

- La diversità è un concetto che riguarda ognuno di noi. Essa esiste e va accettata e trattata come un momento di arricchimento per tutti. Lo spogliatoio è un luogo eterogeneo dove ci sono tantissime diversità. Ognuno ha le proprie abilità, ognuno esprime il proprio talento che è unico e diverso da tutti. Poi c’è la lingua che si parla, la cultura di provenienza, il territorio dal quale si proviene. Tutto questo mi ha permesso di vedere la vita in modo diverso, ampliando notevolmente la mia visuale. Non ha senso sentirsi superiori rispetto alla diversità. I momenti con i ragazzi del calcio integrato sono stati per me degli acceleratori di crescita incredibili, dove ho preso più di ciò che ho dato. Per questo dobbiamo fare gioco di squadra per cambiare i pensieri legati alla diversità. -

Il primo consiglio di Simone è ragionare sul nostro concetto di responsabilità. I ragazzi sono lo specchio di ciò che vedono e vivono in famiglia, a scuola e nei luoghi di aggregazione. Sono importantissimi i messaggi che ricevono da noi adulti, gli esempi che ricevono dal nostro comportamento. Siamo noi responsabili della loro crescita attraverso il nostro modo di pensare e di vivere. - 

Il secondo consiglio che dona Simone, con le sue parole ma anche con il suo esempio di vita, è quello di escludere le differenze e dare a tutti le stesse possibilità. Oggi egli gestisce una scuola calcio che dona l’opportunità a tutti di giocare e descrive la sua esperienza coi ragazzi della squadra di quartiere a Casal Palocco come un cammino meraviglioso.

 - Sono pochi quelli che attraverso il calcio avranno un lavoro -  afferma Simone - Più del 70 per cento non farà del calcio il proprio mestiere. Chi gioca a calcio sarà un cittadino, se riusciamo ad inculcare i valori giusti avremo calciatori più consapevoli e cittadini migliori che rispetteranno la diversità. È un’esperienza meravigliosa per me trasferire le mie esperienze e accompagnare i ragazzi alla vita. Il primo tempo della mia vita sono stato calciatore, il secondo tempo lo vorrei vivere trasferendo valore. -

Ma quali sono questi valori in cui crede Simone, che ci tiene così tanto a trasferire?

1) Il coraggio. Egli afferma che crescere vuol dire affrontare le fragilità, riemergere da esse più consapevoli. 

2) L’apertura mentale. - Siate curiosi - dice Simone -  Abbiate sempre voglia di apprendere. Se non ti formi, se non cresci nella vita rimani indietro. Anche nel calcio la curiosità ti fa crescere. Guardare un video, voler ripetere un gesto di un calciatore che ammiri. Io a 43 anni ancora ho quella curiosità sana che mi porta ad informarmi, a sapere sempre di più.

3) Pari opportunità. È importante dare le stesse opportunità a tutti, per questo ho formato la squadra femminile. All’inizio ci sono tante bambine che giocano insieme ai maschi, poi  nell’agonistica devono giocare separatamente. Come continuare? I numeri sono pochi. Squadre maschili tante  e femminili poche. Da noi c’è una mamma di 38 anni e ragazze di 14 nella stessa squadra. Questo da anche un messaggio importante a chi guarda, alleggerisce le pressioni, stempera l’accanimento nei confronti del calcio riportando il senso originale che dovrebbe avere lo sport..

4) Creare un linguaggio comune. I genitori devono essere una parte attiva, dobbiamo necessariamente parlare la stessa lingua. Occorre coinvolgere la famiglia facendo capire quelli che sono i valori da seguire e i gli obiettivi da realizzare, per andare tutti, con i propri strumenti, nella stessa direzione.

5) Essere resilienti. È essenziale cadere e sapersi rialzare. Il calcio o qualsiasi altro ambito lavorativo è lo specchio della vita. Nei momenti di difficoltà devi avere la forza di reagire, perché proprio in questi momenti accade di crescere e di evolvere. La vittoria ti fa festeggiare, non ragioni su come ci sei arrivato, mentre nella sconfitta ti fermi a pensare, cerchi di capire le cause, elabori strategie per evitare di sbagliare nuovamente.

Cos'è la fortuna secondo Simone Perrotta?

- La fortuna di ognuno di noi è quella di individuare il proprio talento. Non tutti hanno la possibilità di conoscerlo, ma una volta trovato occorre crederci e lavorare per farlo crescere. Includere i nostri pari ci aiuta ad essere migliori perché dall'altro si impara tantissimo. La diversità ha sempre fatto parte della storia, e certe diversità sono state superate conoscendo l’altra situazione, mettendosi in condizione di capire il compagno. Ognuno può aiutarci a crescere. Seduti uno accanto all’altro, insieme siamo più forti. - 

Cos’altro potrei aggiungere a questi pensieri? Chapeau caro Simone, ti auguriamo il meglio per questo secondo tempo cosi ricco!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi è capitato molte volte di scambiare riflessioni con persone che, per varie ragioni, sono state penalizzate dal proprio “sentirsi differenti”. 

Chi porta una diversità evidente ha spesso anche dovuto affrontare e combattere una sofferenza psicologica.

C’è una domanda importante sulla quale però vorrei soffermarmi. L’ostacolo più grande che incontra una persona considerata “diversa” è davvero in quella determinata caratteristica fisica? È proprio in quella specifica disabilità, nel colore della pelle, o in quel determinato tratto caratteriale? La risposta a questa domanda è spesso "No". 

Le sofferenze che mi sono state confidate in molti casi non erano legate alla situazione oggettiva, o alle dirette conseguenze che quel modo di essere portava con sé, ma erano frutto di credenze e pensieri che venivano associati a quella diversità. 

Molti racconti che ascolto testimoniano che il dolore più profondo scaturisce dal rifiuto e dal giudizio del mondo esterno. Lo stimolo può essere innescato da persone incontrate  fuori dalla famiglia: insegnanti, compagni di scuola o anche perfetti sconosciuti incrociati per strada. Ma in molte di queste situazioni il racconto riguarda la difficoltà di affrontare il proprio pensiero ed il proprio giudizio, spesso compromesso da convinzioni limitanti. In questi casi la persona può arrivare a penalizzarsi da sola, non volendosi bene, rifiutando di accettare i propri limiti e trattenendosi dal lanciarsi nel mondo in modo aperto e fiducioso. 

 

"Di tutti i giudizi che subiamo nella nostra vita, nessuno è importante come quello che subiamo da noi stessi”    

Nathalien Branden 

 

Il confronto con gli altri e la costruzione del senso di fiducia nelle nostre capacità: un percorso lungo e pieno di cadute

L’uomo viene definito un animale sociale. Una delle sue caratteristiche, infatti, è quella di sentirsi felice e realizzato grazie anche alla bontà delle proprie relazioni affettive. Lasciare il caldo guscio protettivo della famiglia e iniziare ad avere una vita sociale esterna è la prima grande sfida che dobbiamo affrontare da individui. Questa fase è molto ricca di stimoli utili al nostro sviluppo e offre meravigliose esperienze ma è anche un momento molto delicato. Nuove figure si presentano nella nostra vita e noi siamo costretti a scoprire e poi allenare le nostre abilità affettive e relazionali. La qualità delle interazioni con i compagni, con gli adulti coinvolti nella nostra educazione e la bontà delle esperienze che facciamo durante il nostro percorso di crescita contribuiranno a costruire la fiducia nelle nostre capacità e a innalzare il nostro “livello di autostima”:

  • Se le nostre relazioni sono positive saremo sicuramente invogliati e spronati a dare il meglio di noi.
  • Se ci impegneremo avremo maggiori probabilità di ottenere buoni risultati.
  • Se otterremo successi la nostra autostima crescerà e questo circolo positivo si autorinforzerà continuamente.

Non sempre però le cose vanno così lisce e l’incontro con il pianeta “Altro” può divenire un percorso lastricato da difficoltà e problemi.

 

Quando l’ostacolo non è dove appare. Le difficoltà dell’adolescente “diverso”

Accade a quasi tutti gli adolescenti di passare una fase in cui guardarsi allo specchio non è l’azione più semplice da compiere. Se ci fermiamo a riflettere e facciamo lo sforzo di andare indietro con la memoria forse anche noi da ragazzi ci trovavamo dei difetti che, come si dice a Roma : “Magari ad averceli mo’!” : )

A chi non è successo di trovarsi fra le dita una vecchia foto e di dire: “Guarda come stavo bene!”… Eppure, magari al tempo ci sentivamo così … brutti/magre/grassi/bassi/goffe/scialbe. 

È tipico degli adolescenti trovarsi difetti anche dove non ci sono, figuriamoci quando quelli che abbiamo ci vengono fatti “gentilmente” notare dai nostri presunti amici, o quando oltre ai troppi brufoli magari abbiamo un diverso numero di arti rispetto al nostro vicino di banco… Ecco che la vita può diventare davvero un’impegnativa corsa ad ostacoli!

Nel caso dei ragazzi considerati “diversi” spesso troviamo una sofferenza interiore che può essere associata al tipo e al grado di accoglienza ricevuta nei vari contesti. La scuola, la cerchia di amici e (nei casi fortunati) anche il luogo dove si pratica lo sport saranno ambienti decisivi per lo sviluppo di uno stato di benessere psicologico. 

Purtroppo, ancora nel nostro secolo e nella nostra modernissima nazione, può succedere che il bambino o l’adolescente portatore di una diversità si trovi catapultato in un ambiente poco inclusivo, senza che si sia creata a monte una cultura in grado di accogliere e valorizzare le differenze e le caratteristiche individuali che ogni persona porta con sé

In questi specifici casi la sofferenza che si genera affonda le sue radici nello scontro che avviene tra la persona diversa e le idee di "normalità", che sono spesso dei rigidi scudi fra noi e gli altri. Con queste parole non è mia intenzione negare la sofferenza che può nascere nel vivere una disabilità di qualsiasi tipo. Nascere con due mani, invece che con una, facilita senz’altro la vita a chiunque! Ma dobbiamo ricordare che per un sordo non udire è “la normalità”.

Molto probabilmente la persona che nasce con un deficit ha già organizzato delle strategie compensative per sostituire quel senso o quella funzione mancante.

Se un individuo nasce sordo è probabile che compensi la mancanza di un senso affinando l’abilità di leggere le parole sulle labbra dei propri cari, o acquisendo la lingua dei segni.

Come ci ricorda Arturo Mariani, la persona diversamente abile ha imparato come gestire la propria situazione, ha già trovato le sue personali e originali soluzioni per adattarsi al meglio all’ambiente che la circonda.

Molti altre storie di vita che ho ascoltato descrivono come le sofferenze mentali non nascano tanto dagli ostacoli fisici che questa o quella mancanza porta con sé, ma dai limiti mentali che originano dal confronto con gli altri, quelli che di diversità sanno poco e niente, e dallo scontro molto forte che avviene tra la persona diversamente abile e l’idea di normalità che la società impone. 

Il problema di un individuo con disabilità, il più delle volte, non è nel fare ma nel “sentire”. Questo disagio interno nasce, nella maggior parte dei casi, dall’incontro e dal confronto con la "normalità”.  

L’atleta Arturo Mariani, nato con la sola gamba sinistra e poi diventato membro della Nazionale italiana di calcio paralimpico, racconta di aver avuto tante difficoltà che derivavano da dei blocchi mentali.

"Sentivo che avrei voluto raggiungere ciò che volevo ma era come se il mondo mettesse in mezzo mille ostacoli tra me e i miei desideri".  

Per Arturo inizialmente era impensabile riuscire a praticare quella che era la sua grande passione: il calcio. Poi accade qualcosa dentro di lui che cambia completamente le carte in tavola.

 "La protesi che mi aveva accompagnato per anni mi faceva star male", racconta Arturo, "Ma stavo tranquillo perché ero uguale agli altri. Ciò che mi rendeva sicuro era la stessa cosa che bloccava la mia vita. A 17 anni entro in crisi, la mia testa era concentrata solo sulla diversità. Decido allora di essere me stesso e di affrontare il primo giorno di liceo lasciando la protesi a casa. È stato un vero trauma, quando mi sono presentato all’entrata tutti gli occhi erano puntati sulle mie stampelle, ma poi è andata sempre meglio, perché mi sono liberato. La vita è il 10 per cento ciò che ti accade, il 90 per cento è come reagisci. Ogni volta che ci liberiamo delle nostre protesi mentali facciamo una scelta che ci fa stare bene. Nel momento in cui scegli non stai bene, ma passare dal pensiero di "avere un gamba in meno" a quello di "avere una gamba" vuol dire aprire lo sguardo sulle possibilità che la vita offre." 

Adesso Arturo è un giovane uomo adulto, equilibrato, consapevole che, oltre ad aver scritto un bellissimo libro, riesce attraverso la sua esperienza a lavorare nell'ambito del coaching e a dare coraggio a chi invece è ancora in lotta con il proprio personale calvario.  

 

Daniele Cassioli ed il "Vento Contro" in ognuno di noi

Un grande campione sportivo, con il quale ho avuto la fortuna di collaborare in passato, racconta molto bene questo difficile incontro/scontro della persona disabile con i preconcetti dei quali la nostra società è ancora pienamente intrisa. Daniele Cassioli, vincitore di numerosi titoli mondiali ed europei nella disciplina dello sci nautico paralimpico e autore del libro “Il vento contro”, è non vedente dalla nascita.

Nella sua biografia l’atleta racconta in maniera molto dettagliata quanto sia stato difficile per lui superare l’ostacolo della cecità una volta arrivato all’adolescenza, soprattutto per le implicazioni mentali, emotive ed affettive che questa sua caratteristica portava con sé.

Durante un pranzo che abbiamo condiviso Daniele mi ha spiegato quanto per un non vedente dalla nascita sia normale non vedere ed affinare altri sensi ed altre abilità. Mentre parlavamo e mangiavamo, comodamente seduti al ristorante, captava con facilità i discorsi che provenivano dagli altri tavoli e riusciva ad organizzare una mappa mentale molto precisa dello spazio fisico intorno a noi, solamente mettendo insieme le informazioni raccolte con gli altri sensi.

Questo episodio personale, e molti racconti che ho ascoltato in stanza di terapia, mi hanno fatto riflettere molto. La diversità può donare delle difficoltà fisiche e materiali extra a chi la vive, questo è un dato di fatto, ma tolti rari casi dove la gravità della difficoltà compromette in modo serio la qualità della vita, tali deficit sono i più semplici da affrontare e superare.

I veri ostacoli sono di tipo mentale e nascono nel momento in cui ci si trova a dover accettare la propria condizione di “diversità”, qualunque essa sia, e a dover gestire le reazioni di chi non è preparato all’incontro con tale dimensione.

Da psicologa mi chiedo se questo vissuto composto da tante emozioni ingombranti non sia un vero e proprio filo conduttore che ci unisce gli uni agli altri come esseri umani. Con buona probabilità l'agro mix di sofferenza, di incertezza e di fragilità ha colto o coglierà ognuno di noi, in una qualche fase della nostra vita, e potrebbe dunque rappresentare lo strumento per  empatizzare più facilmente con l’altro e anche per offrire e chiedere aiuto con più immediatezza.

Il pensiero centrale espresso nel libro di Daniele è che ognuno di noi può sperimentare la sensazione di avere il “vento contro”, di dover superare un limite forte che sentiamo come d’ostacolo alla nostra realizzazione. Per lui questo ostacolo è stato rappresentato dalla cecità e ha dovuto lavorare molto su se stesso per superarlo, e lo ha fatto accettando quel limite, capendo che il vento che si abbatteva su di lui per atterrarlo era lo stesso che poteva sfruttare per prendere il volo esattamente come può fare un aquilone che decolla sfruttando quel movimento dell’aria. Le parole più belle di Daniele sono dedicate a tutti noi, poiché chiunque ha un proprio “vento contro” e ognuno deve decidere cosa farne. 

 

 

Quando le difficoltà sono segnali di stop che invitano a riflettere su chi siamo e su cosa desideriamo 

 

“Se combattiamo un blocco, questo si inasprisce. Ma se lo riconosciamo, lo viviamo e lo accettiamo comincia a sciogliersi.”

Nathalien Branden

 

La difficoltà che ci limita può essere il nostro pretesto per restare a terra, immobili nella lamentela e nel vittimismo, oppure può diventare il nostro personale momento di riflessione su chi siamo e su cosa vogliamo ottenere dalla vita.

Per qualcuno questo limite può essere rappresentato da una disabilità, per qualcun altro potrebbe essere la  scelta “contro corrente” di un partner, per altri ancora il colore della pelle. Per qualcuno potrebbero essere le troppe lentiggini, i brufoli che sono spuntati improvvisamente, il troppo o troppo poco seno, l’apparecchio che impedisce di sorridere spontaneamente o quei chili in più che non fanno star bene con se stessi. Il vento contro potrebbe essere l’insicurezza che non permette di credere nelle proprie potenzialità, o la timidezza che mina le prime relazioni importanti. 

Ognuno ha il proprio ostacolo personale fra sé e la felicità, e occorre lavorare seriamente su queste convinzioni limitanti, parlando tantissimo con i più giovani, facendoli confrontare su quelle che sono le loro personali esperienze, donando un supporto psicologico quando serve e soprattutto creando una cultura di dialogo e di accettazione delle differenze. Solo individuando le credenze negative alla base della sofferenza di ognuno potremo aiutare chi è ancora prigioniero del proprio malessere.

 

Note Conclusive

Il mio desiderio è quello di contribuire alla creazione di una cultura basata sul concetto di inclusione. Il mio sogno, quello di molti miei colleghi e di molti amici che si stanno unendo lungo la strada, è quello di poter un giorno aiutare tutti i ragazzi, nessuno escluso, a trovare la propria personale dimensione di unicità e di originalità, e perché no… di felicità. 

Ogni vita vale e ogni uomo ed ogni donna meritano di potersi realizzare al meglio, trovando il proprio senso nella vita e raggiungendo il proprio concetto di felicità.  

L'adolescenza è un momento di grande crisi per la maggioranza degli adolescenti: trovare un equilibrio prima con se stessi e poi nel mondo, è un’operazione molto difficile.

Ogni persona in crescita, infatti, si trova prima o poi di fronte all’idea di essere unica e diversa da ogni altro essere del pianeta. Questo pensiero può portare con sé la spiacevole sensazione di trovarsi davanti ad una sofferenza “speciale”, non condivisibile con gli adulti di riferimento. 

In alcuni casi, la pena è talmente grande da non poter essere confidata neanche ai propri compagni, ed è così che l’adolescente può trovarsi immerso in delle vere e proprie crisi esistenziali.

Se crescere è un’operazione complicata per la maggior parte degli adolescenti, chi è portatore di una diversità rischia di soffrire molto di più durante questo difficile cammino. La pressione sociale spinge su di noi dalla nascita affinché ci conformiamo in maniera acritica ai canoni della cosiddetta normalità.

Quando un bambino o una bambina mostra caratteristiche visibilmente differenti dal resto del gruppo dei propri pari rischia di vedere bloccato il proprio processo di “fioritura”. 

Gli ostacoli che ci si trova ad affrontare in questi casi sono molto spesso il frutto dell’incontro-scontro con la propria realtà sociale. 

Le relazioni con gli altri possono essere una sorgente di felicità o un pozzo di sofferenza per l’essere umano. 

È molto importante monitorare la qualità delle interazioni dei ragazzi in crescita, come anche l’idea che costruiscono di se stessi in relazione al mondo esterno

Nessuna vita ha più diritto di un’altra di esistere, nessun umano ha meno diritto di un altro di vivere con dignità e gioia, e di ricevere amore, rispetto e comprensione.

Questo articolo è una minuscola azione concreta per rispondere ad una domanda di aiuto che non può rimanere inascoltata ancora a lungo.

Una cultura di inclusione: l'unica via possibile 

È possibile renderci tutti strumenti di cambiamento attraverso vari tipi di intervento, affinché si crei una cultura di inclusione e di apertura alla diversità.

Il mio lavoro a contatto con individui di ogni età, ceto e provenienza mi ha insegnato una lezione importante: ogni forma di diversità può causare malessere psicologico e può influire negativamente sulle relazioni se l’ambiente sociale è chiuso e ostacolante. Non importa se la differenza che mostriamo risieda nel colore della pelle, nel tipo di religione praticata, o nel nostro orientamento sessuale; a volte anche solo provenire da una regione diversa e avere un accento considerato dai compagni “buffo”, o sgradevole, può portare ad essere esclusi dal gruppo.

Quando a differenziarci è una vera e propria disabilità il percorso di crescita può complicarsi ulteriormente.

Molte persone con le quali mi sono confrontata su questi temi mi hanno raccontato di aver fatto più fatica rispetto ai coetanei per il solo fatto di presentare una disabilità, e di aver raccolto un bel cesto di sofferenze gratuite prima di riuscire a trovare uno stato di equilibrio e di benessere nella vita adulta. La serenità e la sicurezza che mostrano una volta cresciuti è indubbiamente frutto del grande dolore subito durante la crescita. 

L'accettazione della propria condizione ha, in molti casi, portato a vedere i propri limiti non come degli ostacoli insormontabili, ma come delle basi dalle quali partire per costruire la propria forza. 

Ma è davvero necessario attraversare l’inferno per poter riemergere più forti? O noi adulti, genitori, insegnanti, educatori, professionisti della salute mentale possiamo fare qualcosa tutti per permettere che la crescita dei nostri ragazzi avvenga con maggiore consapevolezza, rispetto, ed evitando di commettere errori e di subire ingiustizie?

Rimanere aperti alle novità e abituarsi a dialogare: due ingredienti fondamentali per una crescita sana

Due cose molto importanti ho imparato nella vita: "tutto è relativo" e "la ruota gira"

1) Tutto è relativo. È facile giudicare e criticare quando siamo comodamente seduti sulle nostre sicurezze, ma basta uscire dalla nostra zona di certezza per trovarci di fronte a quanto sia spiacevole essere giudicati "strani", "diversi"o addirittura "inferiori". Anche a noi può capitare di essere discriminati da qualcun altro, magari durante un viaggio all’estero, in paesi dove alcune persone possono avere la convinzione di essere più "evolute" di noi per il solo fatto di essere nate lì e non in Italia. Può succedere allora anche a noi di essere fraintesi o derisi a causa di alcuni rigidi stereotipi. 

2) La ruota gira. La diversità riguarda tutti. A molti di noi può essere capitato di avere un incidente, di non riuscire a camminare per un periodo o di dover dipendere da qualcun altro per qualsiasi motivo. Può essere capitato di ammalarsi e di sentirsi deboli e vulnerabili. A me è successo, in più di un’occasione. In quei momenti ho realizzato quanto fosse essenziale avere una rete di affetti, persone sulle quali contare, e quanto sarebbe importante vivere in una società dove valori come rispetto, fiducia e solidarietà vengono condivisi da tutti.

Sono questi i valori che permettono di abbattere la paura, consentono il confronto e incoraggiano il supporto reciproco. 

Come contribuire a creare questo modo di intendere la vita sociale e le relazioni? L’abitudine al dialogo e la curiosità nell’imparare dalle diversità possono essere degli ottimi alleati per favorire e agevolare la crescita dei più giovani, per rendere le cose più facili a chi nasce con una qualsiasi difficoltà, ma anche due ottime abitudini per noi adulti, utilissime nella vita quotidiana e in tutti quei momenti in cui la vita ci mette a dura prova.  

La diversità, infatti, può generare in noi paura, critica e giudizi negativi oppure curiosità, arricchimento e crescita personale. La differenza la fa il modo in cui guardiamo le cose. Per questo è importante far caso a come i nostri figli osservano il mondo attorno a loro ed educarli ad uno sguardo privo di critica e di giudizio negativo per tutto ciò che appare diverso.

Io non so se ci sto riuscendo, ma ce la sto mettendo tutta, perché ogni vita vale, ed ogni uomo ed ogni donna meritano di potersi realizzare al meglio e di raggiungere il proprio concetto di felicità.  

Quelli di “normalità” e di “diversità” sono concetti con i quali uno psicologo si trova ben presto ad avere a che fare avendo a cuore il benessere della persona che fa una richiesta di consulenza. 

“Sabrina, è normale ciò che provo?”.

“Dottoressa, è normale ciò che mi sta accadendo?”

Quante volte ho sentito frasi simili! 

Le prime domande di una persona sofferente, spesso, non sono tese a scoprire le origini del malessere, quanto questo possa durare o cosa sia possibile fare per uscirne.

Quello che interessa maggiormente a chi si trova di fronte ad una crisi, nella maggior parte dei casi, è solo sapere se il proprio stato sia considerato“normale”.

L’antico detto “mal comune mezzo gaudio”, dunque, sembra essere molto gettonato anche in tempi modernissimi. 

Desideriamo tutti essere unici, speciali e originali… ma allo stesso tempo abbiamo un’incredibile paura di essere considerati  “diversi". 

Ma cosa c’è di così irresistibile in questo concetto di “normalità”? E chi può dire di possederla veramente? Se guardiamo bene, troviamo somiglianze e differenze tra ogni singolo essere del pianeta. Le similitudini che esistono tra individui di una stessa specie consentono di portare a compimento la riproduzione ed il mantenimento della specie su questo pianeta, ma è la variabilità genetica che consente la capacità di adattamento e di sopravvivenza. 

Insomma, senza la diversità, non esisterebbe la vita! 

Nonostante questo dato sia abbastanza evidente...

Quando il nuovo si affaccia nella nostra esistenza siamo spesso un pò a disagio, sia che si tratti di una novità esterna che impatta contro il nostro guscio di certezze, sia che si tratti di una spinta interiore che si ci spinge a cambiare.

Il bisogno di sentirsi uguali agli altri e la lotta per conquistare un’individualità indipendente e originale. Quando la normalità statistica non è garanzia di benessere

Normalità e diversità sono concetti essenziali per il benessere psicologico. Entrambi hanno, infatti, un ruolo importantissimo nel mantenere l’equilibrio tra il bisogno umano di sicurezza e quello, altrettanto importante, di crescita e cambiamento. 

Lo sviluppo della propria personalità non sempre segue dei percorsi lineari. A volte, e a qualsiasi età, possono verificarsi degli stop, degli inciampi o dei momenti di riflessione dove veniamo in contatto con la sensazione di malessere. 

Una delle prime lezioni che ci insegnano le neuroscienze, è che tra lo sforzo di adattarsi al nuovo e rimanere nella propria zona di sicurezza, la mente sceglierà quasi sempre di non aprirsi e di restare in una tranquilla “normalità”. 

Vedendo il tipo di problemi che molte persone mostrano nel fronteggiare situazioni nuove, o realtà molto diverse dal proprio quotidiano, mi son però posta spesso una domanda: “La “normalità” è davvero questa zona sicura?”  Siamo tutti normali rispetto a qualche caratteristica precisa, ma questo non garantisce il sentirsi bene, o “a posto” in senso assoluto. 

Esiste una normalità statistica, che viene rappresentata dal concetto di “media”, ma essa è solo un dato e non è una garanzia di serenità. 

Come ci è stato dimostrato più volte dalla storia, non è detto che la normalità statistica sia un “numero giusto”. La maggior parte dei nostri diritti civili è stata conquistata grazie al fatto che qualcuno sia un giorno uscito dal coro e abbia iniziato a pensare e ad agire in modo diverso. Se Rosa Parks nel non così lontano 1955 non si fosse opposta alle regole normali per quei tempi, sedendosi in quella porzione di tram riservata ai bianchi, chissà per quanti anni ancora la segregazione razziale avrebbe imposto i suoi disumani dettami. 

L’incontro con la diversità, dunque, rappresenta per l'uomo una grande risorsa. 

Lo stimolo che riceviamo verso la nostra crescita interiore diventa davvero un trampolino potente in tutti quei fruttuosi casi in cui questo venga vissuto con interesse e con la voglia di sfruttare il match per apprendere qualcosa in più sul mondo e su se stessi.

La paura di essere diversi. Da dove nasce e perché ci riguarda

La paura di essere diversi, di non essere conformi, ha radici antiche. Sappiamo bene tutti quanto fosse importante per un uomo primitivo rimanere protetto nel caldo ventre della tribù. Chi non si allineava al pensiero dominante, chi si opponeva alle regole, chi era considerato diverso veniva allontanato e lasciato solo a fronteggiare un destino di stenti e morte prematura. 

Eppure, anche se nel mondo moderno non esiste più questa spaventosa minaccia, abbiamo comunque ereditato una paura profonda nei confronti del giudizio esterno. 

Il timore è spesso quello di non essere accettati per ciò che siamo veramente, e la reazione a questa paura è una naturale tendenza ad omologarci. 

Il volersi conformare, il desiderio di aderire a dei canoni di bellezza precisi, il bisogno di essere riconosciuti ed apprezzati dai membri della nostra comunità… sono tutte necessità che restano più o meno inconsce a seconda del grado di consapevolezza che abbiamo raggiunto. Ci vuole, infatti, molta determinazione, e tanta sicurezza, per sfidare ciò che il modello dominante impone e per seguire le indicazioni che scaturiscono dalla nostra bussola interiore. 

Come affrontare il momento di crisi e la paura del giudizio 

Dalla mia esperienza in studio, ho imparato che molti disagi possono nascere nel momento in cui sperimentiamo dei desideri o delle sensazioni che crediamo non essere in linea con i valori ricevuti nella propria famiglia di origine, o quando abbiamo dei comportamenti che potrebbero essere giudicati male dai nostri pari. Quando le nostre esigenze interiori si scontrano con il sistema di valori che non sono “nostri” al cento per cento, ecco che possono scaturire delle profonde crisi interiori. 

Molte volte può accadere che il sistema di certezze che abbiamo interiorizzato non sia stato veramente scelto da noi, ma che questo sia stato assorbito “per osmosi“ dalla nostra rete di relazioni fondamentali. Quando cresciamo facciamo delle esperienze che ci portano a scoprire nuovi modi di vedere e di intendere la vita, e questa evoluzione può portarci a scoprire un mondo interiore fino a quel momento sommerso e sconosciuto. È possibile che nel viaggio di scoperta verso se stessi alcuni desideri vengano negati o repressi, e che ci si convinca che sia giusto vivere una vita a metà, senza entrare troppo in contatto con la nostra essenza profonda. 

In altri casi, quelli più fortunati, è invece possibile superare questi momenti di crisi rivisitando e personalizzando il precedente sistema di valori, o persino trovando e rispettando una nuova gerarchia di significati importanti, un sistema di valori “nostri”, all’interno del quale sentirsi bene e “a casa”. 

Questa trasformazione avviene in modo proficuo se siamo sufficientemente elastici e capaci di  aprirci con curiosità verso tutto ciò che proviene da noi stessi, ma anche verso tutto ciò che è “altro” rispetto a noi, abbandonando le nostre paure e sconfiggendo le nostre credenze limitanti.

La consulenza psicologica come strumento di cambiamento 

"Un uomo dovrebbe cercare di essere ciò che è, e non ciò che pensa che dovrebbe essere." A. Einstein

Nel caso in cui il disagio diventasse difficile da affrontare con le sole nostre risorse, può essere fondamentale il confronto con un professionista. Molte delle nostre problematiche, infatti, si risolvono naturalmente, semplicemente crescendo e maturando. Altre, per essere superate hanno bisogno di un piccolo sostegno da parte di chi ha già aiutato molte persone alle prese con quel tipo di problema. 

Parlare con uno psicologo, in un momento di crisi, può portare un reale beneficio. 

Spesso basta una sola singola seduta per mettere ordine fra i pensieri e le emozioni e innescare le giuste domande per avviare il processo di cambiamento.

p.s. Se dopo aver letto questo articolo senti il desiderio di raccontarmi un episodio in cui hai sperimentato la difficoltà del sentirti "diverso", puoi scrivermi.

Sarò lieta di leggere la tua storia e di risponderti personalmente.

 

Il 22 Aprile, durante la giornata mondiale dedicata alla Terra,  mi sono trovata per caso a guardare con mio figlio Alberto una puntata di “One strange rock”. Rimango ogni volta rapita dagli argomenti che riguardano lo spazio che ci avvolge. Le sensazioni che mi lasciano addosso certe immagini, e le riflessioni che ne derivano, non mi abbandonano per ore e ore. 

Se non hai visto questa serie di documentari io la consiglio vivamente. Se preferisci la lettura alle immagini, provo a sintetizzare in sette punti le riflessioni nate dalla visione di questa seconda puntata.

1) Il Caos è la potenza suprema

Il nostro Universo sembra non essere frutto di un piano caruccio, ordinato e pettinato: esso prende vita e forza da collisioni violente e casuali. Se è vero che, come dice Renoir, “La regolarità, l’ordine e la perfezione distruggono l’arte e l’irregolarità è alla base di qualsiasi tipo di arte”, allora questo dev’essere vero anche per l’arte della creazione di mondi.

2) Non siamo l’ombelico di niente

Lo spazio non è solo quella calotta nera immobile ravvivata da migliaia di puntini fissi luminosi che accendono le nostre fantasie serali, ma è un immenso pentolone che ribolle di attività. La Terra è in un punto a caso in questo grande fermento, sebbene la quasi totalità degli umani ignori il caos nel quale è immersa.

E se un giorno ci svegliassimo nello spazio a 400 km sopra il livello del mare ci renderemmo conto di quanto siamo continuamente esposti ad ogni tipo di collisione... ed i bozzi sull’astronave testimonierebbero questo rischio! Un po’ come quando in autostrada ti trovi a leggere sul parabrezza la cartina degli insetti che hai involontariamente investito, così gli astronauti contano i danni sugli sportelli e sui finestrini delle loro astronavi. Non sembra, ma un semplice granello di sabbia può rappresentare un vero problema quando ti piomba addosso alla velocità di 70 chilometri al secondo!

3) Drammi o Fortunate Coincidenze? Lo scopriremo solo vivendo

Da quattro miliardi e mezzo di anni il nostro pianeta viene colpito da oggetti provenienti dallo spazio, ma siamo ancora inspiegabilmente in piedi in mezzo a questa tempesta cosmica che si muove.

Ai dinosauri non è andata altrettanto bene, ma solo perché hanno avuto la sfiga che l’asteroide atterrasse su di una riserva di zolfo. Le pietre, polverizzandosi, hanno rilasciato una nube immensa di gas tossici che hanno coperto il sole causando la glaciazione che li ha fatti secchi.

Sebbene attualmente circolino teorie contrastanti e molti comBlotti, la maggior parte di noi sa che la Terra è tonda e gira su se stessa. Se l’asteroide avesse colpito il nostro pianeta pochi secondi dopo sarebbe caduto in mare, quindi niente tempesta di fuoco e niente estinzione degli amati giganti!

Ecco cosa accade quando alcuni eventi distruttivi fortunati si collegano dando vita a magiche coincidenze. Questa magia non ha smesso di operare e continua a manifestarsi ogni giorno anche sotto ai nostri occhi disattenti.

Pensiamo a quante meravigliose nascite ricevano la scintilla della vita grazie ad eventi irregolari e piccoli errori di valutazione inanellati nella giusta, fantastica sequenza! 

4) Il Seme, l’Acqua e 'na botta de chiul

All’inizio dei tempi, sul nostro pianeta ci sono tutti gli elementi per creare la vita ma manca un fattore fondamentale: l’acqua.

L’acqua, quando arriva, non si presenta sulla Terra bussando gentilmente solo perché invocata a gran voce dagli atomi di polvere di stelle. Essa si palesa con una grandinata violenta che dura giusto un po’, quei… cento milioni di anni.

Comete di ghiaccio e asteroidi piombano sul pianeta riversando immense quantità d’acqua.

Fortuna vuole che, a differenza di Marte e Venere, la Terra può conservare l’acqua in ben tre stati diversi: gassoso, liquido e solido! Il seme della vita, dunque, trova il giusto utero in cui crescere: la nostra “zona abitabile”, l’unica a possedere la corretta distanza dal Sole, e questo, in un sistema solare sterminato, sembra essere una grandissimissima botta de chiul.

5) Crush

Nella sua storia la terra ha subito varie collisioni. Uno scontro in particolare è stato fatale: quello con Theia. Quando un pianeta incrocia l’orbita di un altro, prima o poi è inevitabile lo scontro. Quando i due pianeti entrano in collisione scatta il panico.

Per fortuna non ci sono ancora molti spettatori ad assistere a questo disastro.

In ogni caso, come tutto nella vita, passa. Lo scontro si risolve in pochi milioni di anni e la nube emanata dall’esplosione si consolida in due pianeti: la Terra e la Luna.

6) Puoi togliere la Terra dalla sua Luna, ma non toglierai mai la Luna dalla sua Terra

La Luna ci è stata letteralmente strappata di dosso. Ma come tutte le storie finite e non del tutto vissute… Terra e Luna ancora si attraggono.

Il potere della Luna è forte e richiama a sé il movimento delle maree, influendo sulla stabilizzazione del giorno e delle stagioni. La collisione con Theia rende la rotazione della Terra velocissima: un giorno dura solo 5 ore! Sono le maree, con la loro forza attrattiva, che lo spingono a stabilizzarsi sulle 24 ore. Il ciclo circadiano nasce così e va a incidersi da quel momento nel nostro Dna.

Il mega botto con Theia sposta anche l’asse della terra di 23 gradi: è grazie a questa inclinazione che si generano le stagioni. Dallo spazio sono lampanti i cambiamenti legati al trascorrere delle stagioni: sono visibili il verde e l’azzurro dell’estate in un emisfero e la neve nell’altro. Se l’asse della Terra fosse dritto, quasi metà del pianeta sarebbe ghiacciato tutto l’anno; invece, grazie all’inclinazione, sono pochi i posti sulla terra dove la vita non riesce a prosperare.

Da un feroce scontro nasce la dolce cadenza ritmica della giornata e delle stagioni: il ritmo dell’esistenza. I cuccioli nascono a primavera e vengono preparati all’inverno durante la stagione bella, la vita è sincronizzata con il ritmo delle stagioni.

7) La bellezza è figlia dell’incertezza

Caos, violenza e collisioni hanno generato la bellezza che vediamo intorno a noi. La voce di Will Smith ci ricorda quanto sia stupefacente notare il sottile equilibrio tra l’essere qui, il prosperare, e non esserci affatto.

La tempesta non è stata una nostra nemica, non siamo qui a dispetto di essa. Siamo qui grazie ad essa.

Sebbene noi tutti cerchiamo di non essere colpiti dai duri colpi che la vita ci riserva, dovremo ricordare che solo attraverso queste collisioni noi riusciamo a crescere, e ad evolvere. 

E anche nei momenti come questo, dove verrebbe voglia di guardare altrove e nascondere la testa sotto alla sabbia, forse converrebbe tenere alto lo sguardo lì, proprio dove arrivano i colpi, e dove fa più male. 

E domani, chissà, voltandoci indietro, riusciremo forse a leggere anche un disegno, nascosto dietro a questa fitta trama di eventi misteriosi e difficili da accettare. 

Con la quarantena è possibile che alcuni di noi stiano sperimentando degli stati emotivi sgradevoli come: mancanza di concentrazione, noia, apatia e voglia di restarsene con il lato B inchiodato al divano, possibilmente ingurgitando una buona dose di serie tv. L'obiettivo non troppo dichiarato è mettersi in pausa, evitare di pensare. In realtà, il risultato che si ottiene è quello di aumentare il groviglio di emozioni spiacevoli che vengono solo momentaneamente messe da parte o represse. Non riuscire a comprendere questi umori e non elaborarli nel modo corretto può portare alla lunga delle conseguenze spiacevoli, provocando delle esplosioni di rabbia o di tristezza, e alterando anche la nostra salute fisica con la possibile produzione di sintomi psicosomatici. 

La psicologia si è già occupata in passato di capire la reazione dell’essere umano ai traumi e all’isolamento. Parecchi studi condotti con i reduci di guerra e con le persone coinvolte in grandi emergenze sanitarie hanno dimostrato che partendo da semplici stati emotivi spiacevoli possono svilupparsi vari sintomi psicopatologici. La noia e l'incapacità di focalizzarsi su compiti anche semplici possono farci sentire pigri e inconcludenti. Sono stati d'animo difficili da gestire, sensazioni completamente nuove che nascono in conseguenza allo shock che l'emergenza sanitaria, economica, ed umana sta causando nella maggior parte di noi. I risultati delle precedenti ricerche possono tornarci molto utili oggi, nel prevenire stati di futuro disagio psicologico. Se conosciamo il nostro nemico, possiamo trovare le giuste armi per anticiparlo e sconfiggerlo!

Tanto tempo per noi, e non sapere come utilizzarlo: il blocco psicologico come reazione allo shock

Durante la quarantena ho scelto di non recarmi in studio e di trasferire il lavoro di consulenza e terapia su Skype. Molte richieste di aiuto arrivano grazie all’attivazione del Video Pronto Soccorso Psicologico gratuito e le storie che ascolto descrivono realtà molto diverse fra loro. 

Da una parte c'è chi sta lavorando tantissimo e non trova neanche il tempo di respirare. Medici e infermieri, agenti delle forze dell’ordine, maestre, professori e moltissime mamme di bambini piccoli stanno facendo i conti con un cambiamento molto pesante nel proprio ritmo di vita. Non è facile lavorare adattandosi alle nuove condizioni e nel contempo mantenere la propria routine in casa, senza il supporto della scuola e senza l’aiuto dei nonni. 

In molti altri casi, invece, ci sono molte persone che si trovano in panne per la sensazione di essere confuse e bloccate nell'affrontare una grande quantità di ore vuote. In una recente intervista Alessandro Baricco definisce in maniera poetica questo sentire come "Una sorta di ronzio, una nebbia nella testa", e parla di una generalizzata "sensazione di costrizione" dovuta all'essere reclusi contro la nostra volontà. Perdere la concentrazione e sentirsi demotivati in questo particolare momento storico può avere una spiegazione scientifica che risiede nella nostra fisiologia. Andiamo a vedere insieme perché può verificarsi questo stato d'animo. 

La sensazione di essere bloccati: una spiegazione scientifica 

Le sensazioni di essere bloccati, di perdere tempo e di vivere giornate inutili possono colpire molte persone abituate ad avere ritmi molto intensi.  Trovarsi improvvisamente immobilizzati a casa può dar vita a stati emotivi sgradevoli come la confusione mentale, la noia, la frustrazione.

Questo accade specialmente se non abbiamo mai dedicato troppo tempo all’introspezione e alla cura del nostro “giardino interiore”.

Quando la nostra vita densa di impegni e corse improvvisamente si ferma è possibile che sia necessario fare qualche piccolo conticino con noi stessi e con le nostre questioni irrisolte. La noia e il senso di vuoto sono vissuti che lamentano tutte le persone coinvolte nelle precedenti emergenze sanitarie studiate. Esse sembrano essere reazioni fisiologiche umane per le quali non dobbiamo sentirci in colpa. Gli studi sul trauma confermano che il sentirsi svuotati di ogni energia è un effetto normalissimo per chi ha subito uno shock o per chi sta aiutando le persone colpite da un’emergenza. Possiamo così sperimentare rabbia irritazione ansia, senso di costrizione, ma anche confusione, rallentamento del pensiero, difficoltà di concentrazione.

Quanti di noi in questo momento lamentano il fatto di non riuscire a mantenere l'attenzione su una singola attività, seppur semplice? Da ciò che leggo, e dai molti racconti che ascolto, in tanti dicono di aver sempre desiderato del tempo per fare le cose più impensate ed ora non riescono neanche a leggere la pagina di un libro! Queste sensazioni generano confusione in molti di noi che sentono di aver perso l’orientamento, e possono dare vita ad ulteriori stati di animo negativi come il senso di colpa, la vergogna,  il giudizio e la critica verso se stessi. A quanti è successo di sentirsi pigri, incapaci, mediocri, nel momento in cui mancano tutte le energie che servono a sviluppare i tanto desiderati progetti? La sensazione di non essere adeguati può essere acuita dal confronto irrealistico con gli altri, nel momento in cui vediamo i social pieni di foto felici e gente iperproduttiva, immagini che sono spesso non troppo veritiere e che rappresentano un singolo momento della vita altrui. 

Se abbiamo già iniziato un piccolo lavoro di autoanalisi e presa di consapevolezza, sappiamo  ormai bene quanto alla nostra mente piaccia prendere il sopravvento con un dialogo interno negativo. Attenzione quindi a come ci guardiamo, a come ci parliamo e a come ci trattiamo. Ricordiamoci che non siamo macchine e che tutto ciò che ci capita di sentire ha un senso e va accolto, prima di pensare a come poterlo cambiare. Una volta accettato il momento per quello che è, un grave periodo di ferma e di riorganizzazione per il mondo intero, possiamo pensare a come allenarci in maniera graduale ma costante per uscire dalla quarantena sereni e senza troppe ferite al nostro ego.

Come ripartire dopo la quarantena. Consigli pratici per non perdere grinta e aumentare la nostra  energia

Se vogliamo mantenere un equilibrio saldo in questo momento di incertezza dobbiamo cercare di mettere in atto una vera e propria strategia di difesa rivolta agli effetti negartivi della quarantena, affinché questi giorni di ritiro contribuiscano a mantenerci forti e spiritualmente pronti per una nuova partenza.

Ecco una lista di azioni che potremmo scegliere di adottare:

  • Accettare le nostre debolezze. Essere consapevoli che le nostre emozioni sono reazioni neuropsicologiche e che non hanno nulla a che fare con la nostra volontà ci aiuta a non cadere nella trappola dell'autocritica. Non possiamo controllare come sentirci dentro e neanche è utile colpevolizzarsi o vergognarsi delle proprie emozioni. Ogni emozione che proviamo ha diritto di essere ascoltata e poi lasciata andare, senza giudizio. Iniziamo ad accettarci e a volerci bene così come siamo, per poi pensare a come migliorare. Attenzione alle parole che usiamo per definirci.
  • Lavarci, vestirci, prepararci alla giornata come se dovessimo uscire. Il cervello è molto sensibile ai messaggi che lo invitano a mantenere una bassa frequenza, come ad esempio, il restare in pigiama tutto il giorno. Combattiamo questa pigrizia mentale pensando che potrebbe arrivare una videochiamata e non è il caso di presentarsi in bigodini o con la canotta della salute in bella vista.
  • Cercare di riposare bene. La mancanza di sonno ha un ruolo importante nello sviluppo dei sintomi ansiosi, quindi è bene mantenere un ritmo sonno veglia regolare provando ad andare a letto presto,  evitando di assumere caffeina nel pomeriggio e cercando di abbandonando i dispositivi tecnologici nelle due ore prima di andare a letto.
  • Curare l’alimentazione, fare movimento, prendere un pò di sole alla finestra aiutano a dormire meglio e mettono il nostro corpo nella condizione migliore per produrre ormoni e neurotrasmettitori utili al nostro benessere fisico e mentale. Prendersi cura del corpo vuol dire sostenere il funzionamento della mente favorendo la lucidità e la produzione di buoni pensieri. Non avere il controllo sugli accadimenti della propria vita e sentirsi in balia degli eventi può creare in molti di noi stati di angoscia difficili da gestire. È molto importante quindi sentirsi attivi almeno nella piccola sfera di cose che possiamo dirigere e controllare. È consigliabile organizzare una routine mattutina che aiuti a prendersi cura di se stessi, a volte basta dedicarsi mezz’ora per meditare, fare ginnastica o anche solo per ascoltare la propria musica preferita e la giornata può partire in modo diverso.
  • Prenderci cura di qualcuno: preparare un piatto speciale per i propri cari da consumare insieme o da inviare a chi amiamo, curare i propri animali domestici, travasare le piante in vasi più confortevoli, fare la spesa per un vicino di casa, telefonare a chi è solo. Sono tutte azioni che combattono la tristezza e stimolano la gentilezza e l’altruismo. Queste azioni hanno un impatto molto forte sul nostro benessere poiché vanno stimolare i neurotrasmettitori responsabili del buonumore e fanno crescere il sentimento di appartenere a qualcosa più grande di noi.
  • Riscoprire l'essenziale. Questo periodo ci obbliga a fare delle rinunce molto pesanti, azzerando la quasi totalità del nostro avere superfluo. Abbiamo scoperto che molti oggetti non ci servono e che molte abitudini sono inutili, se non addirittura dannose. Questi improvvisi "tagli" sono stati per molti di noi un'ottima occasione per riflettere su ciò che è davvero importante nella nostra vita, e cosa invece può essere lasciato andare senza troppi problemi. Ragionare su questa nuova gerarchia di desideri e bisogni potrebbe alleggerire molto il carico delle nostre giornate e renderci maggiormente efficaci nel perseguire ciò che davvero vogliamo ottenere nella vita. "Essere efficaci significa possedere la capacità di concentrarsi sull’essenziale" scrive in un articolo molto interessante Andrea Giuliodori. E sappiamo quanto conti essere efficaci, oltre che efficienti, per realizzare i nostri progetti! Quale momento migliore di questo per iniziare a consolidare i cambiamenti da portare con noi una volta finita la quarantena?  
  • Selezionare le notizie, le fonti di informazione e scegliere una linea di comportamento che ci faccia sentire più al sicuro possibile.  Questa azione genera in noi la sensazione di poter fare qualcosa per avere il controllo. Non possiamo vincere il virus, ma possiamo far molto, oggi, per difendere il nostro territorio. È stato dimostrato dalle ricerche che maggiore è il nostro grado di incertezza rispetto alle modalità di trasmissione del virus e di fronte alle regole da tenere in pubblico e maggiore è la probabilità di sviluppare sintomi di natura psicologica durante e dopo la quarantena. Informiamoci, dunque, con intelligenza, misura e senza fare "overdose" di notizie negative!
  • Socializzare. Rimanere in contatto, anche a distanza, con i propri cari attraverso le videochiamate: sentire la voce delle persone amate stimola positivamente il nostro cervello e aiuta a mantenere alto il tono dell’umore.
  • Meditare, leggere, scrivere, guardare un programma che ci piace e fare qualsiasi azione che arricchisca il nostro mondo interiore. Quando tutto ripartirà saremo contenti di aver messo dei buoni semini per la nostra crescita personale
  • Allargare il proprio punto di vista: oggi, diversamente dalle situazioni passate e per la prima volta nella storia dell’uomo, questa emergenza coinvolge tutto il pianeta. Il blocco delle attività riguarda tutti: è l’intero mondo a fermarsi. Questo fatto, se da una parte crea angoscia, dall’altra può avere un effetto benefico sul nostro animo, poiché viene a mancare la sensazione di “essere tagliati fuori” e di “perdere delle occasioni”, perché in fondo in fondo, siamo tutti sulla stessa barca. Un vecchio proverbio dice “Mal comune mezzo gaudio” ed in questo specifico caso, abbiamo visto quanto l’essere tutti in una situazione di difficoltà accresca il nostro senso di comunità e ci renda uniti e compatti, anche come membri dello stesso paese, contro il nemico comune.
  • Ricontestualizzare il proprio disagio. Essere consapevoli che esistono realtà diverse dalla nostra, dove esistono persone colpite dalla malattia o che hanno perso i propri cari, uomini e donne che stanno vivendo il lutto in una modalità ancora più complessa di quanto accadrebbe normalmente, ci mette in condizioni di ridimensionare quanto ci accade. Quest’azione, d'altro canto, va condotta con rispetto e lucidità e senza perdere il contatto con le nostre personali emozioni. Non dobbiamo sentirci in colpa se abbiamo sensazioni spiacevoli, pur essendo tra i “fortunati”, e neanche trascurare stati di animo negativi che possono essere un peso importante da portare e una minaccia per il nostro equilibrio psicologico. Se abbiamo la fortuna di essere in salute e protetti in una casa, con cibo e connessione internet illimitata, abbiamo l’obbligo morale di non lamentarci a vuoto e di impiegare tutto il nostro tempo extra per occuparci in maniera costruttiva del nostro disagio interiore.

Quando i consigli non bastano. L'importanza di chiedere aiuto 

Se nonostante tutto l'impegno e la voglia di reagire  la sensazione di disagio dovesse aumentare fino a compromettere la qualità della propria vita, può essere utile contattare un esperto. Il colloquio psicologico può alleviare la sofferenza e aiutare chi si trova in difficoltà a trovare le risorse per costruire un nuovo equilibrio. 

A volte basta un incontro telefonico o in video chiamata per mettere ordine fra le emozioni sgradevoli e per tornare a governare i pensieri disturbanti. 

 

La quarantena dura ormai da un mese e gli effetti dell’isolamento sociale stanno già iniziando ad essere percepibili dalla maggior parte delle persone che la stanno subendo. Lo scombussolamento delle abitudini quotidiane e la sensazione di incertezza legata ad un futuro imprevedibile sono gli aspetti che hanno portato forse più scompiglio nelle nostre emozioni. 

C’è chi è abbattuto perché ha dovuto abbandonare una routine ricca di soddisfazioni, chi invece non tornerebbe neanche dipinto alla vita precedente e apprezza ogni minuto di questa inaspettata pausa. In entrambe le situazioni, non sapere esattamente come andrà a finire e quanto durerà questo stop, può generare degli stati d’animo altalenanti e non sempre di facile gestione.

Leggere libri e articoli che trattano di psicologia o anche richiedere un colloquio con un professionista sono buoni antidoti contro gli effetti negativi della quarantena, e possono essere anche preziose abitudini da adottare nella “nuova vita” che ci aspetta una volta finito l’isolamento forzato. Vediamo insieme perché.

 

Gli effetti negativi dell’isolamento sul nostro umore 

Esistono degli studi condotti durante diverse emergenze sanitarie accadute in passato che offrono un grande contributo nel mostrarci quali siano le difficoltà che nascono durante l’isolamento. 

In che modo la conoscenza di questi studi può aiutarci? Apprendere da queste ricerche è molto utile poiché sapere come hanno reagito altre persone in una situazione simile a quella che stiamo vivendo, può indicarci delle strategie efficaci per prevenire gli effetti negativi sul nostro animo.

Problematiche di tipo psicologico, infatti, potrebbero nascere sia durante la quarantena, a causa della paura di contrarre il virus e per il conseguente isolamento forzato, sia nell’immediato periodo successivo, provocando disagio nel reinserirsi in una normale routine.  Come difendersi? 

Per riuscire ad evitare di farsi travolgere dalle emozioni spiacevoli occorre  prendere coscienza di ciò che sentiamo “dentro” e di come reagiamo “fuori”.

Se ascoltiamo le nostre emozioni e se facciamo tutto quello che è in nostro potere per migliorare il nostro stato d’animo, saremo maggiormente preparati ad affrontare questo periodo difficile e a riemergere indenni dal muro dell’isolamento.

Agenti stressanti ed emozioni. Quali sono gli effetti immediati e a lungo termine della quarantena

La quarantena è un’esperienza molto spiacevole per chi la subisce. La separazione dalla maggior parte delle persone che fanno parte della nostra vita, la mancanza di libertà personale, l’inattività improvvisa alla quale siamo sottoposti, oltre a creare un disagio psicologico nell’immediato, possono portare degli effetti indesiderati anche molti mesi dopo. 

Per questa ragione è estremamente importante cercare di capire come le emozioni si evolvono durante il corso della quarantena.

  • In un primo momento l’attenzione generale della maggior parte di noi è stata assorbita dalla minaccia del contagio e da come riuscire a proteggerci dal virus: il primo grande agente generatore di stress in situazioni di pandemia è proprio la paura di essere contagiati. Questo è un tema molto importante e sembra essere legato a doppio filo con la quantità di informazioni che riceviamo dagli organi competenti. Più informazioni abbiamo, e più ci sentiamo forti e in grado di combattere il virus. 
  • La paura di essere infettati non si presenta da sola; in molti individui sono forti la preoccupazione legata al proprio lavoro e la paura di non poter garantire la sopravvivenza fisica delle proprie famiglie. Molte persone hanno già perso il proprio impiego e non sanno come sarà possibile riorganizzarsi in un futuro prossimo.
  • Siamo tutti immersi in un clima di incertezza e nessuno sa come andrà a finire e soprattuto quanto durerà questo brutto frangente. Come esseri umani abbiamo un’innata tendenza a voler tenere sotto controllo gli eventi della nostra vita e questa esigenza viene improvvisamente messa in crisi di fronte a qualcosa di mai capitato prima.
  • Se il futuro ci preoccupa, il presente non ci rassicura: la nostra quotidianità è completamente scombussolata dal crollo delle vecchie abitudini e dall’imposizione delle nuove regole che governano la nostra routine. È possibile che in questa fase di grande sconvolgimento, fase che può essere definita un vero e proprio “trauma” per il genere umano, possano affacciarsi in molti di noi delle emozioni nuove, impreviste e difficili da gestire. In questo momento di cambiamento c’è chi soffre perché è stato privato del proprio guscio di certezze e perché è in difficoltà a vivere una nuova normalità, e chi realizza d’un tratto che non tornerebbe mai ai ritmi frettolosi e “disumanizzanti” della vita precedente. C’è chi lavora troppo e vorrebbe riposare e chi si annoia e preferirebbe tornare al lavoro. C’è chi ha guadagnato all’improvviso una quantità di tempo enorme che non riesce a gestire e chi ha dovuto prendere un carico di lavoro talmente grande che non gli bastano le ore di luce. C’è anche chi, dall’ospedale, la luce del giorno non riesce a vederla da giorni. 

Le emozioni sono amplificate dal fatto che tutte le azioni che prima erano semplici da realizzare adesso richiedono una programmazione e una cura dei dettagli insospettabile fino ad un mese fa, e anche solo uscire per far la spesa genera una quantità di stress molto potente. In questa situazione generale può verificarsi nel nostro animo un vero e proprio terremoto emotivo che può portare dal semplice alternarsi degli umori, fino a dei veri e propri attacchi di ansia.

Quanto incide la lunghezza della quarantena sul nostro umore? Alcuni dati

In alcuni studi svolti in passato emerge che la lunghezza della quarantena sia un elemento che incide in maniera significativa sulla produzione di effetti negativi nel nostro stato di animo. È stata infatti trovata una relazione tra il protrarsi dei giorni di isolamento e la produzione di sintomi psicopatologici. Nel caso dell’epidemia di Sars del 2003 gli esperti consigliavano di non prolungare l’isolamento oltre il prevedibile periodo di incubazione del virus, poiché le persone accusavano il fatto di avere un limite di tempo e poi di vedersi sfuggire la libertà sotto al naso, anche se la data slittava di pochissimi giorni. Questo è un dato che fa molto riflettere oggi, visto che siamo in quarantena ma non abbiamo un’idea precisa di quando tutto questo finirà. Potremo uscire quando non ci saranno nuovi contagi? Potremo abbracciarci quando saranno tutti guariti? Queste sono le domande che ci facciamo tutti e non avere direttive chiare potrebbe essere un elemento in grado di creare problemi nel breve e nel lungo termine. 

In alcune ricerche svolte a seguito di altre emergenze sanitarie gravi come la Sars nel 2003 o l’ebola nel 2014 ed è stato descritto l’impatto psicologico che ha la quarantena sull’essere umano. Un articolo molto interessante narra come sia possibile ridurre queste sgradite conseguenze sulla psiche. Gli effetti negativi che possono interessare le persone tenute in quarantena sono molto variabili e comprendono sintomi da disturbo post traumatico, confusione, rabbia, stati ansiosi e depressivi. Anche il rischio di suicidio aumenta dopo un periodo prolungato di isolamento sociale, specialmente se a questo si aggiunge la perdita del lavoro. 

I risultati delle ricerche passate dimostrano quanto sia importante agire da subito attivando le misure sanitarie utili alla prevenzione del contagio ma anche con un sostegno psicologico diretto a tutte le persone colpite dall’emergenza e a chi sta stravolgendo la propria vita per aiutare le persone più danneggiate. 

Il sostegno psicologico può aiutare ad ascoltare, capire e accettare le nostre emozioni e anche ad apprendere delle strategie per mantenere uno stato d’animo armonico. Informarsi, leggere e studiare argomenti che aumentino la nostra competenza può essere un valido aiuto, come anche richiedere un colloquio on line con uno psicologo. A volte un semplice incontro basta per ritrovare la direzione e ripartire con più slancio. Questa sarà una lunga maratona e ci sarà bisogno di tutta la nostra resistenza psicologica. 

 Il “Video Pronto Soccorso Psico”: un'idea che nasce per aiutare in modo gratuito le persone   

Per rendere migliore la qualità di vita delle persone colpite dall’emergenza, ho pensato di mettere a disposizione la mia professionalità, gratuitamente, per tutte le persone che sperimentano un disagio connesso alla diffusione del coronavirus. 

Le tecniche e le strategie terapeutiche possono aiutare a riconquistare l’equilibrio perso e a mantenere uno stato di calma e di presenza, malgrado la difficoltà. 

Esistono parole, gesti, e immagini che, usate in modo opportuno, ci fanno sentire immediatamente  meglio.

La seduta terapeutica può essere svolta in video-chiamata, al telefono, o in chat, previo appuntamento. In caso di bisogno è possibile scrivere una mail qui sul sito o mandare un messaggio al mio numero di telefono per prenotare uno spazio.

 ☘️ Cerchiamo attraverso piccoli sforzi di accorciare, ognuno come può, il tempo di questa improvvisa storia triste, affinché diventi un breve capitolo di un nuovo racconto che ha come lieto fine il bene di tutti.

 

 

È capitato anche a voi di far arrabbiare un’altra persona senza capirne il motivo? O di dire qualcosa pensando di esser chiari, e invece il vostro messaggio viene frainteso? A me è successo, moltissime volte. 

 La maggior parte dei litigi che avvengono nella coppia e tra le persone in generale è riassumibile nella frase “Non la pensiamo allo stesso modo”. Ma quante volte è davvero così, e quante, invece, non siamo riusciti a capirci, a spegarci? Quante volte siamo dovuti ricorrere a mille chiarimenti postumi, quando ormai la frittata era stata fatta?

Riuscire ad essere consapevoli del modo in cui comunichiamo i nostri pensieri e le nostre emozioni è il primo passo verso il cambiamento delle dinamiche che generano in noi sofferenza. Solo gestendo al meglio la nostra comunicazione ed il nostro modo di entrare in relazione con gli altri significativi della nostra esistenza riusciremo ad avere relazioni più sane e positive, nel rispetto dei nostri bisogni e di quelli dell'altro.

LA PRAGMATICA DELLA COMUNICAZIONE: COME LE NOSTRE PAROLE SI TRASFORMANO IN COMPORTAMENTI

La comunicazione è un argomento al quale dedico da tempo immemore i miei studi, ed è un campo talmente vasto e complesso che ci vorrebbero mesi per parlare di ogni suo singolo aspetto. Purtroppo, per quanto noi esseri umani possiamo essere colti ed informati, restiamo sempre consapevoli in minima misura di quanto la comunicazione impatti in modo positivo o negativo sulla nostra vita.

Il modo in cui entriamo in relazione con gli altri ha degli effetti materiali, visibili, poiché va a stimolare in modo pratico il comportamento delle altre persone. 

“La comunicazione influenza il comportamento ed è questo l’aspetto che noi definiamo pragmatico”

Paul Watzlawick

Una marea di studi confermano questo dato: il modo in cui comunichiamo ha un effetto sul comportamento dell'altro. Non sarebbe dunque bello imparare ad essere maggiormente consapevoli del nostro modo di comunicare e apprendere qualche piccolo trucco per migliorare il nostro influsso sulle persone alle quali teniamo?

Migliorare la nostra comunicazione ci consente di vedere immediatamente i risultati di questo cambiamento nelle relazioni più significative, come anche di avere un effetto positivo sulla costruzione di nuovi legami. 

  • Quanto è importante fare un’ottima impressione nei primi minuti di conversazione con una nuova persona? 
  • Quanto conta mantenere sane le relazioni consolidate, quelle alle quali teniamo e dalle quali dipende in gran parte la nostre sensazione di benessere?

Conta tantissimo.

In questo articolo cercherò di sintetizzare i concetti fondamentali alla base della buona comunicazione, quei principi che possono essere utili nel gestire al meglio le nostre relazioni e rendere più felici le nostre dinamiche di coppia. 

Conoscere e rispettare queste regole ci rende dei comunicatori efficaci e ci permette di avere maggior successo nel difficile compito di capire e venire capiti dagli altri. Una regola molto importante da fare subito nostra è la proprietà circolare delle interazioni umane. Vediamola più da vicino.

LA RELAZIONE ASSOMIGLIA AD UN CERCHIO. POSSIAMO REAGIRE PASSIVAMENTE AL COMPORTAMENTO DELL’ALTRO, O AGIRE IN DIREZIONE DELLA NOSTRA FELICITA’

La prima cosa che possiamo fare per iniziare a costruire delle relazioni serene è abbandonare la logica lineare di causa effetto. Le relazioni sono sistemi vivi che vengono modificate continuamente dalle nostre parole e dai nostri comportamenti, in un meccanismo circolare di autorinforzo. 

Molti dei problemi che da terapeuta affronto con le coppie in studio riguardano il sentirsi “in reazione”, o meglio “vittime” del comportamento dell’altro. 

“Io ho risposto male perché lui mi ha offeso”, “Io la tradisco perché lei mi trascura”, “Io lascio perché lui non mi ama”. 

Sebbene le emozioni alla base di questi pensieri siano reali e non certo piacevoli, dobbiamo cercare di ribaltare completamente l’ottica attraverso la quale vediamo i problemi e grazie dal quale queste emozioni si generano. Dire “Io faccio perché lui ha detto” vuol dire rimanere ancorati al pensiero logico che “a” crea “b”, ed è un modo per vivere passivamente quanto ci accade. In realtà le relazioni non sono paragonabili ad una reazione chimica, dove Marco fa e Maria reagisce, ma sono simili ad un cerchio che gira all'infinito, dove c’è sempre qualcosa che Maria ha fatto qualcosa prima che Marco agisse nei suoi confronti, e che Marco ha fatto ancor prima che lei reagisse. È un po’ la storia dell’uovo e della gallina, per intenderci. 

È cosi, le persone restano intrappolate in un meccanismo di rinfacci reciproci che affonda le proprie radici nel passato più remoto della coppia e che, a volte, arriva a sconfinare addirittura nella generazione precedente!

Questa maniera di vedere il problema è una vera e propria trappola per la coppia, poiché entrambe i partecipanti al conflitto ritengono di essere vittima dell'altro e sentono di dover rispondere alle sue provocazioni, senza minimamente riuscire a vedere il proprio contributo nel far andare storta la relazione.

In studio spesso accade di filmare gli incontri, con il consenso della coppia e a scopo esclusivamente didattico. È incredibile vedere la reazione delle persone che si "rivedono" in un secondo momento. Quasi sempre, a bocce ferme e con le emozioni pettinate a dovere, i partecipanti alla seduta si accorgono di quanto il proprio comportamento agisca come stimolo negativo nei confronti dell’altro, e di quanto sarebbe semplice evitare di snocciolare certi “trigger”, quelli che noi psicologi definiamo grilletti, i quali vanno ad accendere l’aggressività della coppia. 

Attraverso le videoregistrazioni è molto chiaro come la relazione si svolga in modo circolare, seguendo le regole di un ping pong malato, che ha perso la regola fondamentale insita in ogni gioco: il divertirsi insieme. 

Come possiamo fare per riportare la relazione sul binario del benessere e del gioco? All’inizio per gli innamorati è tutto molto semplice e bello, si sta bene sempre e ovunque, in modo molto naturale e spontaneo; non servono grossi sforzi per far funzionare le cose: le persone si guardano negli occhi, parlano tantissimo, si tengono per mano per strada e ogni notte fanno l’amore (volendo, anche il giorno, in realtà). 

Passati gli anni può succedere che gli ingranaggi si inceppino e in alcuni casi emerge la brutta sensazione che sia tutto o quasi da buttare. Se si hanno dei figli poi… a malapena bastano le forze per accudirli e intanto sopravvivere, figuriamoci quanto tempo e attenzione ci rimangono in corpo da dedicare alla coppia! La famiglia del Mulino Bianco è un’invenzione per vendere merendine, perché in realtà siamo catapultati in immenso campo di battaglia, dove momenti di quiete e gioia si alternano a cicli di stanchezza cosmica e impegno certosino.

Sopportare, accettare, tollerare: da azioni sporadiche possono diventare pericolose abitudini per una coppia che teme il confronto e che ha paura di mettere in crisi i propri equilibri.

Anche rimproverarsi a vicenda, accusarsi, buttare sull’altro la melma del proprio giardino interiore possono essere azioni deleterie. In entrambe i casi le relazioni ne escono imbruttite e sfibrate, e non è raro che ci si perda per strada, senza neanche accorgersene. 

Chi ha la fortuna di avere una relazione forte, chi ha passato già una o più crisi di coppia e sta insieme da decenni sa che le relazioni più autentiche non sono quelle che si fondano sull’entusiasmo e sull’emozione della novità, quelle dove è facile evitare i nostri nodi più intricati, ma quelle dove abbiamo dovuto mettere del lavoro e della cura per farle decollare nuovamente. 

Può capitare, quando la macchina si ferma per qualsiasi ragione fuori dal nostro controllo, che i nostri compagni abbiano sufficiente benzina per ripartire. Altre volte invece tocca spigne’, e non sempre sarà l’altro a fare la prima mossa per rimboccarsi le maniche.

Cambiare i nostri compagni di vita, costringerli a fare cose che non vuole fare in modo spontaneo non è molto utile, se così fosse le crisi durerebbero molto poco e a vincere sarebbe sempre il più forte o il più astuto. 

In realtà una coppia che funziona si basa sul presupposto che entrambi abbiano dei vantaggi psicologici, emotivi e materiali nello stare insieme, e sul presupposto che entrambi vedano la coppia come un luogo tranquillo, sicuro e di grande valore aggiunto per la propria esistenza.

Se vogliamo cambiare le cose, e se sentiamo di averle provate tutte fuorché l’ipnosi, quel che ci resta da fare è sicuramente mettere mano su ciò che posso controllare. E cos’è che dipende interamente da me e che sono sicuro al cento per cento di potere modificare? Chi ha letto il secondo articolo dedicato a sa già dove voglio andare a parare… Esatto! Posso controllare solo le mie convinzioni ed il mio comportamento.

Ognuno di noi può provare anche da solo a cercare di rimettere benzina nella macchina, dando un significativo contributo personale nel guarire la relazione. Per fare questo occorre riprendendosi la responsabilità di ciò che facciamo per fare andare bene o male le cose.

“I sistemi interpersonali (coppie, amici, gruppi…) sono dei veri e propri circuiti di retroazione, poiché il comportamento di ogni persona influenza ed è influenzato dal comportamento di ogni altra persona.”

Paul Watzlawick

LA PRIMA REGOLA DA RICORDARE PER AVERE UNA BUONA COMUNICAZIONE 

La prima regola per avere delle buone comunicazioni è quella di ricordarsi sempre che: 

  • La relazione è paragonabile ad un organismo molto delicato che deve la propria sopravvivenza alle nostre cure 
  • La relazione se avesse una forma avrebbe le sembianze di un cerchio, una ruota fatta di scambi comunicativi che in qualsiasi momento possiamo bloccare e modificare, eliminando gli input negativi e aumentando le risposte favorevoli al benessere della coppia. 
  • Abbiamo la capacità di influire positivamente sull’altro, semplicemente agendo sul nostro comportamento.

Per fare in modo che l’altro si ponga in modo gentile e fiducioso nei nostri confronti possiamo smettere di aspettare che sia l'altro a cambiare e farlo noi per primi, spogliandoci della nostra rabbia e mettendo da parte il risentimento e l’orgoglio. Se l’altro mi offende ed io alzo la posta, aumentando il livello degli insulti, ho una buona probabilità di rovinare la giornata ad entrambi. Se all’offesa io reagisco con calma, magari pongo una domanda che mostri interesse per lo stato emotivo dell’altro, allora ho una buona probabilità di stoppare il litigio sul nascere. Possono essere di aiuto domande tipo: “Ti senti bene? Che ti succede per dire certe cose?” o “Chi ti ha fatto arrabbiare per parlare così?”. Queste domande, pronunciate con tono dolce e calmo, hanno un effetto stabilizzante poiché non versano benzina sul fuoco e spostano l’aggressività su quelli che sono i reali problemi che hanno innescato lo sfogo di rabbia. Occorre essere molto forti e aver fatto un buon lavoro interiore per riuscire ad avere il controllo delle nostre reazioni, e a volte non siamo nelle migliori condizioni per farlo. Altre volte ci sentiamo stanchi di pensare che siamo sempre noi a doverci sbattere affinché le cose funzionino. Però la realtà e proprio questa, prendersi la responsabilità della propria vita, della propria felicità e della buona qualità delle nostre relazioni vuol dire proprio sbatterci al massimo delle forze, affinché le cose funzionino.

IN FEW WORDS

In poche parole, il terzo ingrediente per sopravvivere al meglio delle nostre possibilità all'interno di una lunga convivenza è saper gestire una buona comunicazione. Per riuscirci, la prima cosa da fare è prendere coscienza di quanto i nostri pensieri, le nostre parole ed infine le nostre azioni abbiano un peso enorme nell’influire sul comportamento della persona che ci sta accanto. Noi abbiamo il potere di invertire il trend negativo di una relazione con il solo nostro comportamento. 

“Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”, predicava Ghandi. Se vogliamo cambiare qualcosa nella nostra relazione possiamo iniziare oggi stesso a cambiare,  prendendo in mano la responsabilità della nostra  comunicazione.

Nel prossimo articolo affronteremo un altro tema importante per l'equilibrio della coppia: le aspettative e la loro influenza sulla comunicazione e sulla creazione dei conflitti. :)

Prosegue il nostro appuntamento di psicologia con le riflessioni dedicate alla coppia che affronta i problemi legati ad una lunga convivenza, difficoltà che possono essere amplificate e ingigantite da questo difficile periodo di quarantena. Come iniziato a fare nei precedenti articoli, cercheremo di sfruttare parte del nostro tempo a disposizione per allenare la nostra conoscenza di noi stessi e per rendere migliori i nostri rapporti.

Abbiamo visto quanto il primo passo da fare per essere felici della nostra vita e soddisfatti delle nostre relazioni sia prendersi la totale responsabilità del proprio sentire e del proprio agire. Il secondo passo è aggiungere un altro importante ingrediente nella nostra ricetta: la consapevolezza di chi siamo e della direzione che abbiamo. 

CONSAPEVOLEZZA: FARE CHIAREZZA IN NOI STESSI DIVENTA UN'OPERAZIONE FONDAMENTALE

Quando dopo una veloce analisi ci accorgiamo che qualcosa è cambiato nella nostra relazione, prima ancora di affrontare i problemi con la persona che amiamo, è utile cercare di fare chiarezza in noi stessi. 

La quarantena ci obbliga a fare delle scelte, a puntare solo sulle persone, sulle azioni, e sulle cose che sono essenziali. Tutto il superfluo è tagliato fuori, siamo costretti a selezionare, a capire cosa è veramente importante per noi e cosa non lo è più. 

Quale occasione migliore di questa pausa per porci delle domande sulla nostra vita e sui nostri rapporti fondamentali? Potremmo rispondere ad una o due domande importanti per noi, o scrivere un’intera lista, prendendo spunto da quella che segue:

  1. Sono soddisfatto della mia relazione?
  2. Amo ancora la persona che ho accanto? 
  3. In che modo il mio sentimento si è trasformato nel tempo?
  4. Come dimostro il mio affetto?
  5. Sono orgoglioso/a di ciò che ho costruito nella mia vita sentimentale? 
  6. Mi basta ciò che ricevo? 
  7. Sono contento di ciò che offro?
  8. C’è qualcosa che vorrei cambiare nella mia relazione?
  9. Quali sono i miglioramenti che potrei ottenere? 
  10. In che modo posso riuscirci?

Queste sono alcune domande che potremmo rivolgere a noi stessi per cercare di fare maggiore chiarezza su quelli che sono i nostri sentimenti e sul modo in cui li esprimiamo al nostro compagno di vita.

Nel precedente articolo sul blog ho parlato di come sia importante prendere su di sé tutta la responsabilità della relazione: essere consapevoli di ciò che mettiamo noi per primi nel rapporto di coppia è prendere un pezzetto importante di questa responsabilità. 

Può capitare di accusare i nostri mariti, fidanzate, mogli, compagni di non amarci più “come un tempo”, di non guardarci più “allo stesso modo”, di non fare più quelle strane follie che all’inizio ci facevano brillare gli occhi e battere forte il cuore. Ma siamo sicuri che noi non stiamo offrendo lo stesso sbiadito spettacolo agli occhi dei nostri amati? Adagiarsi sul morbido cuscino della comodità è un meccanismo umano, ma se vogliamo risvegliare un qualche interesse nell’altro, l’ultima cosa che dovremmo fare è accusare, criticare e soprattuto pretendere dall’altro ciò che noi stessi non stiamo offrendo da tempo. 

Marco, Maria e una comunicazione semplice da sbrogliare 

Porto ad esempio il caso di Maria e Marco, una coppia che ho incontrato recentemente nel mio studio di psicoterapia. Maria accusa Marco di non ascoltarla mai: lei è infelice, stufa, stanca, non ce la fa più a stare con lui che è distratto, lontano, distante, freddo. Nel dire queste cose Maria non guarda Marco, non aspetta da lui una risposta di alcun tipo, ma continua a rovesciare su di me le sue lamentele, senza neanche prendere fiato. Il suo grido di aiuto sembra più un nastro registrato a tutto volume, che una vera e propria richiesta di attenzione. Quando chiedo a Marco quali siano le sue emozioni, dopo quella valanga di critiche e accuse a lui rivolte, risponde che ci è "abituato". Inutile dire che dopo quella risposta di apparente indifferenza il giradischi delle lamentele di Maria si riaccende a tutta birra. Solo a fine seduta, e dopo aver comunicato alla coppia le emozioni che ho provato sulla mia pelle assistendo alla loro comunicazione, Maria è disposta a capire il ruolo importante che lei stessa ha nell’allontanare Marco. Il comportamento di Maria, di cui lei non sembra essere consapevole, è una molla importante nel far scattare la risposta di Marco: a causa del forte bisogno di essere ascoltata e accolta, lei per prima non ascolta e non accoglie i bisogni di lui, che più viene criticato e più si chiude in se stesso. La distanza emotiva di Marco, che tanto spaventa Maria e che la spinge a lamentarsi a rotta di collo, altro non è che l’effetto del suo modo errato di comunicare il bisogno di essere sostenuta dal compagno. Quando il “Voglio essere ascoltato” si è finalmente trasformato in “Sono qui per ascoltarti”,  ed entrambi sono riusciti a dirselo, rispettando i turni di parola, le distanze fra i due hanno cominciato a colmarsi.

Molte coppie che arrivano disamorate e messe a dura prova dalle loro interazioni riescono a trasformare il “Voglio che tu faccia qualcosa per me” in  “Cosa posso fare io per te”, e quello è davvero l’inizio di un bel percorso di cambiamento. 

LA CONVIVENZA LOGORA I RAPPORTI PIÙ SALDI. L’IMPORTANZA DI MANTENERE UNA ROTTA CONDIVISA

Avere una rotta condivisa e riuscire a mantenerla vuol dire onorare i nostri valori fondamentali, quelli sui quali abbiamo costruito le fondamenta della nostra coppia, e di continuare a farlo mentre lentamente procediamo verso gli obiettivi più significativi della nostra esistenza.

La nostra felicità è molto legata ai concetti di responsabilità, di autenticità, di libertà e di lealtà, e a quanto questi valori si possono esprimere liberamente nelle nostre relazioni fondamentali. Quanto più ci sentiamo noi stessi, a nostro agio con la nostra natura e in linea con i nostri valori più profondi, tanto più sarà alto il nostro tasso di felicità percepita. In quanti più ambiti della nostra vita (familiare, lavorativo, amicale) noi riusciamo ad avere questa sensazione di autenticità, e maggiormente sperimenteremo la sensazione di essere i protagonisti di un’esistenza piena e realizzata.

Non sempre, però, ci sentiamo liberi di essere autentici in un rapporto di coppia, specialmente dopo un pò di anni passati insieme, quando la passione sfuma e abbiamo sempre meno voglia di fare sacrifici e compromessi per l’altro. Questo non sentirsi pienamente se stessi con il proprio compagno può lentamente sfibrare le relazioni e portare le persone a

  • rompere la relazione 
  • chiudersi in se stesse, ripiegando su uno stato malinconico o depresso
  • cercare rigenerazione in pianeti lontani dalla relazione stabile di coppia, che rimane comunque la base sicura. Molti pazienti, parlano delle loro avventure extra-coniugali, mi confidano proprio questo vissuto, che è forse ancora più importante del variare menù a livello fisico. "Mio marito non mi capisce". "La mia amante mi accetta così come sono". Queste sono le frasi che sento più spesso pronunciare da chi decide di tradire il proprio partner. E sono uomini e donne di ogni età a farlo, in uguale misura e senza distinzioni.

Un problema che possono aver sperimentato molte coppie è la trasformazione del binomio iniziale da luogo di estasi e meraviglia a luogo di incertezza e disagio. Chiunque abbia passato una crisi seria lo sa. Quando una coppia si forma, gli innamorati hanno spesso la sensazione di essere in un mondo magico, separato dal resto del pianeta. Vedono la realtà con le stesse lenti e hanno la certezza che l’altro li veda e li accetti per quello che sono. Anche i loro limiti vengono accolti, e i loro difetti persino amati. 

“Sei proprio un/a pigrone/a, ti sveglio io con un pò di coccole” diventa ben presto “Sei proprio un pigro del cactus, alzati dal divano che mi sembri un/a morto/a”. Non si sa come, i difetti sono diventati pugni nello stomaco e la comunicazione che prima era piena di "Oh si”, È vero!” “Amore, senti…” “Come fai tutto bene te, nessuno al mondo…”  ora è densa di “Se vabbè” “Non credo proprio” “Sei come tu' madre (tu padre)”. 

Quello che voglio dire è che spesso, e non sappiamo neanche bene come, tra le persone che più si vogliono bene cominciano ad innalzarsi dei muri altissimi e la nostra stessa casa può trasformarsi da luogo di gioia e benessere, a triste ring senza né vincitori né vinti. Molte coppie si separano, altre appaiono tranquille nel vivere la propria distanza emotiva e si ignorano con rispetto, altre ancora restano invischiate in relazioni conflittuali che diventano ancora più violente a causa della vicinanza fisica obbligata.

Dalla mia esperienza in studio, posso dire che le coppie che vogliono risolvere i propri problemi quasi sempre ce la fanno, anche per quelle che vogliono lasciarsi in maniera più civile non ci sono grandi difficoltà. Altre persone invece vengono da sole per cercare di curare la coppia, perché nel marasma della propria crisi hanno trovato delle soluzioni che non sono definitive e certe, ma che al momento portano un po’ di respiro nel vivere meglio una quotidianità compromessa e vogliono mettere ordine nel caos.

Alcuni tradiscono il proprio compagno o la propria moglie per noia, altri perché si innamorano. Alcuni restano a casa perché hanno una famiglia e non la vogliono distruggere, altri desiderano solo attrarre l’attenzione del proprio marito o della propria moglie, e lo fanno (sembra strano a dirsi!) attraverso il tradimento. C’è anche chi non tradisce fisicamente il proprio compagno o la propria compagna ma fa il fantasma dentro casa, essendosi comunque creato un mondo esterno, una dimensione di interessi e attività che procede parallela alla famiglia. E poi c’è anche chi arriva a chiedere aiuto perché si trova ad essere la terza persona che si è infilata in un rapporto in crisi, e non riesce né a chiudere la storia, né ad andare avanti con la propria vita.

Tutte queste persone vivono la coppia come un luogo di sofferenza e cercano di rimediare al dolore che sentono dentro riempiendolo con qualcosa di nuovo e di diverso. Il problema è che il dolore non può essere negato se non si affrontano le cause che lo producono, e se queste situazioni non vengono  vissute alla luce del sole possono portare, alla lunga, a vivere dei drammi interiori molto seri. Senza entrare in problemi di ordine morale o etico, chi si trova in situazioni di questo tipo può arrivare a vivere un grande disagio, e specialmente in questo periodo di convivenza "forzata" può aumentare la sensazione di essere scisso tra ciò che vive a casa e ciò che ha lasciato fuori. Questa pausa, dunque, può trasformarsi nell’occasione giusta per fare chiarezza e riflettere su ciò che conta sul serio nella propria esistenza, su chi si vuole davvero al fianco nella felicità, ma anche nel casino più totale. Nelle occasioni più difficili da affrontare, come quelle in cui si rischia di perdere il bene più grande, la salute o addirittura  la vita, tra le braccia di chi vorremmo trovare conforto? È ora il momento di capire veramente cosa e chi tenere stretto, e chi o cosa, invece, lasciare andare.

Non occorre essere arrivati a tradire il nostro partner per essersi dimenticati del valore che ha lui o lei nella nostra vita. Abbiamo ancora voglia parlare con lui, di guardarla, di ridere insieme? Abbiamo desiderio di abbracciarlo? Da quanto tempo non la baciamo, un bacio vero, intendo. Come gli dimostriamo il nostro sentimento? Quante volte le diciamo che le vogliamo bene? 

I giorni di quarantena possono diventare un momento in cui facciamo chiarezza sul nostro mondo interiore, sui nostri sentimenti, sui nostri desideri sepolti. Se non lo abbiamo fatto finora, possiamo porci questi interrogativi adesso. Solo una volta che abbiamo risposto alla nostra personale lista di domande possiamo passare al secondo step: comunicare con l’altro.

Ma questa è un’altra puntata : )

 

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