Sabrina Ciccarelli

Sabrina Ciccarelli

R. è la mia insegnante di Yoga. 

L’ho conosciuta tre anni fa quando ero in lutto per la fine del mio periodo Hip Hop e quando pensavo che mai più niente mi avrebbe appassionato come la danza.

Poi è arrivata lei, con la sua voce dolce e pacata, i capelli biondi raccolti nella lunga coda ed il sorriso che le illumina gli occhi chiari e sinceri. Non avrei mai pensato che da quel corpo gentile potesse sprigionare un’intensità ed un energia tale da travolgermi letteralmente. In poche lezioni mi sono appassionata di Yoga Vinyasa e ho capito in breve tempo come i movimenti uniti alla respirazione, insieme a quei pochi costanti minuti di meditazione, fossero in grado di donare un beneficio incredibile al mio tono dell’umore e molta felicità in più alle mie giornate.

Dopo la lezione, ci siamo talvolta fermate a fare due chiacchiere e nel tempo siamo entrate sempre più in confidenza fino anche a collaborare in un progetto di formazione che univa la danza alla psicologia, insieme al mio amico coreografo Daniele Vitale. Conoscendo la sua storia ed sapendo del grande desiderio che R. è riuscita a realizzare, ho deciso di farne la mia prima ospite nella Rubrica “Storie di Fioritura”

Ma cominciamo dall’inizio…

La mia fioritura ha un nome: Giulio

R., tu sai che io faccio delle psico interviste dove parlo di fioritura, di quanto accade ad un certo punto nella nostra vita, spesso anche dopo un momento di stasi o di tristezza poi ci sentiamo tornare alla vita. Qual è il momento di fioritura che vuoi raccontare? Che nome ha la tua storia di fioritura?

La mia storia di fioritura inizia sicuramente quando ci è stato comunicato che esisteva un bambino che sarebbe arrivato a noi.

Stai parlando di Giulio, il bambino che tu e David avete adottato.

Si, di lui e del mio percorso per diventare mamma. 

Ok, prima di parlarne di entrare nel vivo della storia ti chiedo di presentarti brevemente.

Sono R., ho quarant’anni e sono un’insegnante di Yoga.

Lavoro anche con i bambini da 0 a 14 in una scuola come insegnante di inglese e sono sempre un po’ alla ricerca. Sono una persona che ama interrogarsi. Fin da piccola ho provato a guardarmi dentro, a cercare e questo mi ha creato molti disagi, soprattutto in adolescenza perché cercavo sempre qualcosa che non avevo a portata di mano.

Da allora, la mia ricerca interiore non mi ha mai lasciata ed è ciò che continuo a fare attraverso lo Yoga, è un lavoro continuo su di me, anche se non è sempre facile e spesso la realtà “rema contro”.

Quando riesco a dedicarmi del tempo, riesco ad ascoltarmi e con quel break di ricarica riprendo l’equilibrio.

Insegnare Yoga è un lavoro che hai scelto. Quanto pensi che sia importante scegliere un lavoro che rispecchi la tue chiamata interiore?

All’inizio del mio percorso con lo Yoga lavoravo meno come insegnante e riuscivo a fare delle pratiche personali più numerose, seguivo le lezioni di altri insegnanti e quindi lo vivevo come un momento di benessere e di crescita per la mia persona.

Anche ora sto tornando a viverla cosi, ma c’è stato un momento in cui insegnare Yoga non mi ha fatto bene, è diventato un lavoro dove dovevo dare, dare. Ciò che ricevi mentre insegni è molto, gli allievi ti restituiscono tanto ma la mia concentrazione in quel momento non è focalizzata verso l’interno, è puntata sulle persone ed è come se non mi godessi il lavoro su di me. Il mio corpo ne trae beneficio, ma la mente ne risente.

Adesso, con l’ingresso di Giulio nella mia vita, ho dovuto allentare l’impegno al Centro Yoga e questo mi ha aiutata a riprendere un equilibrio migliore.

Quando ti ho conosciuta stavi dando alla luce il progetto del Centro Yoga. In quel periodo ricordo che eri impegnata con le lezioni, ma anche con tutta la parte burocratica e organizzativa che è prevista nell'aprire qualsiasi tipo di attività. Sei un’insegnante, un’imprenditrice e ora sei anche la mamma di Giulio. Lui arriva, e tutto cambia. Come avviene questa trasformazione?

Per noi non è stato un percorso difficile, perché ci siamo avvicinati all’adozione con un grande punto interrogativo, dicendo “Proviamoci!”, ma con zero aspettative.

Sapevamo che non sarebbe stato semplice avere in adozione un bambino, ma in noi non c’era un accanimento nel volere a tutti i costi un figlio, questo ci ha aiutato a lasciar scorrere il tempo senza  grosse aspettative. Abbiamo iniziato il percorso con la ASL e poi improvvisamente siamo stati chiamati per Giulio.

Come è stato ricevere la notizia?

Lì c’è stato un momento di crisi perché non eravamo l’unica coppia in attesa. Ci è stato comunicata l’esistenza di questo bimbo ma c’erano anche altre coppie in fase di valutazione. Ci dissero che se non avessimo ricevuto alcuna chiamata entro pochi giorni voleva dire che un’altra coppia era stata scelta per Giulio, e non dovevamo chiederci perché, semplicemente c'era qualcuno più adatto alle sue esigenze. 

E invece siete stati chiamati.

Si! Dopo quattro giorni siamo stati avvisati che eravamo stati scelti, quindi tanta incredulità! È stato un momento intenso per noi, abbiamo vissuto l’esperienza della casa famiglia che ne senti sempre parlare ma... viverla è un’altra cosa, abbiamo dedicato a lui tanto del nostro tempo. 

Quello è il momento che ricordo con più gioia, il momento in cui siamo arrivati in casa famiglia …

R. si interrompe, le lacrime le rigano il viso. Ci prendiamo qualche secondo.

Quando il sogno diventa realtà: le gioie e le difficoltà 

Rivivendo quel primo incontro le emozioni escono fuori ancora fortissime. Mi puoi parlare di quelle che sono state le difficoltà che hai incontrato in quei primi momenti?

All’inizio eravamo un po’ spiazzati. Le emozioni erano intense e non tutte positive.

Quando ho visto Giulio per la prima volta non ho provato niente di speciale, lui era un bambino fra tanti, anche un po’ distante e distaccato. Poi abbiamo cominciato a passare i pomeriggi con lui e qualcosa è subito cambiato.

Lo aspettavamo alle quattro che tornava dall’asilo, poi ci giocavamo, facevamo merenda, lo addormentavamo.

Dopo una settimana già si era creato un legame fra noi. Ci riconosceva, ci aspettava.

La prima uscita, la ricordo bene, siamo andati da Ikea e lui era curioso e attratto da tutte le novità che vedeva intorno, iniziava a sorridere tanto e a prendere più confidenza. Poi ha iniziato a venire a dormire a casa e non è stato un inizio facile. Giulio è un bimbo tranquillo ma la notte si svegliava continuamente, piangendo disperato.

Tutto Agosto lo abbiamo passato insieme e abbiamo percepito molto lo stacco dalla realtà come era prima, quando eravamo solo una coppia, e dopo, dove era difficile ritagliarsi uno spazio anche per scambiare due parole, o farsi un bagno caldo.

Ci siamo dovuti abituare a non avere tempo per noi.

Oggi, dopo quasi due anni, qual è l’ostacolo maggiore che stai vivendo?

L’ostacolo più grande è superare la sensazione di dover ancora cercare qualcosa per completarmi. Una sensazione che speravo si affievolisse con la maternità. Il desiderio di ricercare qualcosa di diverso è ancora molto vivo in me. In più, come difficoltà ci sono tutti gli ostacoli del vivere il quotidiano, del doversi dividere su più fronti.  La mattina porto Giulio a scuola, poi faccio le lezioni Yoga, la spesa, pulisco casa, preparo il pranzo e la cena e anche quello, se vuoi mangiare sano, richiede tempo. Poi volo al lavoro e torno la sera che, con il traffico e tutto, è già ora di cena.

Mi dispiace che non ci sia lo spazio di coppia, ma la cosa principale che ho perso è il tempo per me stessa.

Ti dico solo che quando lavoro a scuola ho la sensazione di riposarmi. Assurdo.

No, non lo è. Lo sento dire da tante neo-mamme invece. Vedrai che come cresce un po’ questa sensazione di stanchezza sparirà. Che impatto ha avuto la maternità sul tuo modo di vedere il mondo?

Essere mamma avrebbe dovuto placare la mia irrequietezza, invece ha solo aperto nuovi interrogativi. Mi faccio domande sul mio futuro. 

È la baby sitter che va a prendere il bimbo a scuola, solo una volta a settimana il papà. Io ho ancora dei giorni di aspettativa che mi prendo diluiti nel tempo, ma presto finiranno. Le rare volte che riesco ad andare fuori scuola a prenderlo lui è quasi meravigliato nel vedermi. Le volte che torno tardi invece si comporta in maniera strana con me, è freddo, come volesse dirmi che può fare a meno della mia presenza. Tutto ciò mi ferisce e mi crea un senso di colpa.

Ha senso avere il bambino e non poterselo crescere? 

Devo continuare a guardare avanti cercando di cambiare e di aggiustare il mio lavoro alla nuova vita.

È il problema di tutte le mamme lavoratrici, il senso di colpa. Non abbiamo sufficiente tempo per tutto e per tutti e questo può generare ansia, frustrazione e tanto tanto senso di colpa. Senso di colpa verso il lavoro, perché facciamo assenza, arriviamo tardi, magari se non abbiamo dormito non ci siamo neanche con la testa. Senso di colpa verso il bambino perché non ci siamo e quando ci siamo il tempo non è mai buono quanto come ce lo immaginiamo in testa. 

Si. Magari lui fa il capriccio ed io sono stanca, e poi rimango arrabbiata e frustrata per aver buttato via del tempo prezioso. 

E poi c’è il senso di colpa verso il nostro compagno, perché siamo stanche e non abbiamo voglia di fare l’amore, verso le nostre amiche, che vediamo ormai solo in cartolina, verso noi stesse perché non ci prendiamo più cura di noi, non troviamo il tempo neanche per riposare cinque minuti ad occhi chiusi.

Faccio molti interventi a sostegno della genitorialità efficace, dal momento in cui arriva il bimbo nella pancia o come nel tuo caso, dal momento in cui si apprende la notizia che c’è un bimbo che aspetta i suoi genitori. È quello il momento in cui si crea uno spazio psicologico per il bambino che sta arrivando e già qui la coppia cambia. Poi, quando il bimbo entra materialmente nella nostra casa saltano tutti gli equilibri. 

Noi stessi e la coppia. Come cambiano le nostre relazioni con l'arrivo del bambino

Come hai vissuto l'arrivo di Giulio nella coppia? Su che cosa hai dovuto lavorare per riprendere un equilibrio?

Noi siamo una coppia stabile, abbiamo fatto sempre tutto insieme anche se io sono quella tollerante!

Ride

Ho combattuto tantissimo con quelle che sono le nostre differenze poi mi sono arresa. Siamo due teste diverse e ci sono tra noi dei punti dolenti, ma so anche che non posso cambiare l’altro quindi se si presenta l’argomento sul quale non siamo in linea mi fermo e dico “Pazienza”. Negli anni ho imparato ad accettare anche se fa male. David è molto ambizioso, sa ciò che vuole ed è bravo a raggiungere i suoi obiettivi, io sono meno esigente e tendo anche a disperdere le mie energie su più fronti.

Anche ora che sono diventata mamma il lavoro non è più il mio unico obiettivo, ho molto più a cuore il mio tempo libero rispetto ai soldi, quindi è un equilibrio difficile.

Come coppia ci siamo abbastanza annullati per fare i genitori.

All’inizio è stata dura, ci siamo accorti che qualcosa stava cambiando e ne abbiamo sofferto, c’era la ricerca degli spazi di coppia.

Con il tempo diventa la normalità non avere tempo.

Adesso ci siamo adattati e neanche pretendiamo più di avere quello spazio. Oggi ad esempio è il compleanno di David, inizialmente avevamo pensato di andare soli a festeggiare, ma poi l’abbiamo entrambi vista come un’occasione per stare tutti insieme. Anche perché se Giulio dovesse vedere le foto del compleanno… sai come ci rimarrebbe male? Già ora quando vede le foto dove lui non c’è chiede sempre “Dove ero io?”

E tu cosa rispondi?

Io gli dico qui dovevi ancora arrivare, gli parlo della casa famiglia, ogni tanto lui chiede di andare a visitarla. Ora è facile gestire le sue emozioni, è un bimbo, mi preoccupa più ciò che proverà durante l’adolescenza, mi chiedo se sarà un problema per lui, se si sentirà diverso dagli altri.

Anche a lui lo dico, gli racconto la favola che la mamma non lo poteva tenere e lo ha affidato alla casa famiglia e poi noi lo abbiamo cercato fino a trovarlo.

Ora non ho problemi. Sono solo preoccupata del futuro, se lui vorrà sapere tutto, se andrà alla ricerca dei pezzi perduti.

Gli operatori dicono che le reazioni dei bambini che crescono sono imprevedibili. C’è quello che è sempre stato tranquillo che gli parte tutto il desiderio di scoprire le sue radici e quello che fa più fatica all’inizio e poi invece si da pace e non gli interessa sapere nulla.

Prima parlavamo di quanto sia stata difficile l’adolescenza per te, forse non è un caso che la tua attenzione vada ora a quel periodo della vita. L’adolescenza è comunque un ginepraio. Ci siamo passati tutti, ognuno con i propri motivi per sentirsi  diverso o incompreso. Gli starete vicino e lui farà il suo percorso attraverso il dolore, come ogni persona che cresce.

Si. Sarà come per tutti gli altri, un gran casino.

Ridiamo

Che tipo di reazioni ha la gente in generale quando dici che Giulio è adottato? Ti capita di sentire frasi fatte o di sentirti urtata in qualche modo dalle risposte che ti arrivano?

Non mi sono mai sentita in difficoltà, anche perché con le persone più care ne ho parlato sempre a fondo quindi non ho ricevuto frasi fatte o mancanze di sensibilità.

Fuori non ne parlo molto, anche se mi è capitato con le neo mamme che chiedono cose tipo “Che tipo di parto hai avuto”, lì non mi nascondo e dico chiaramente che Giulio è stato adottato. Come lo dico a lui, per noi è la normalità.

 

La fioritura e i nostri valori di base. Connessioni importanti

Mi sembra molto bello il modo diretto e sincero con il quale ti approcci alla vita e alle persone. Posso chiederti quali sono i tuoi altri valori importanti?

Credo nella famiglia. Un valore questo che mi è stato tramandato.  Mi sento dedita alla famiglia e se dovessi avere un conflitto metterei comunque la famiglia  davanti a tutto il resto.

Poi l’onestà. Per me è essenziale fare la cosa giusta.

 E non so se è un valore. La gentilezza.

Wow. Si è un valore. È il re dei valori per me.

Beh, io ci provo. Anche se non sempre riesco. Con Giulio perdo la pazienza.

Accade anche a tutti, non temere. Più sei in relazione stretta con qualcuno e più sei messo alla prova. È facile essere gentili quando tutto va bene, quando sei alla giusta distanza e non ti schiacciano i piedi. Prova ad esser gentile quando ti senti non visto o quando i tuoi valori non vengono rispettati, lì è più dura e più stretto è il legame e più è facile perdere i freni inibitori.

Si è vero. Giulio mi mette a dura a prova. A volte mi colpisce, mi graffia. Io gli chiedo se lo fa anche con la maestra e lui dice di no, lo fa solo con me. 

Ti sta testando.

È il suo modo per mettere alla prova la tua tolleranza ed il tuo amore incondizionato. Se lo riesci a tranquillizzare, facendogli vedere che non te ne vai anche se lui fa cose “cattive”, allora vedrai che si calmerà, pian piano. 

Prendila come una pratica per diventare una persona migliore, se la gentilezza è un tuo valore importante, da potenziare, Giulio può essere il tuo grande allenatore in questa difficilissima sfida. 

Mi sta allenando ad un sacco di cose, in verità.

Questo fanno i figli, ci obbligano a guardarci dentro e ad essere persone migliori. Con Giulio puoi trovare ed affrontare i tuoi lati oscuri, "i punti dove la consapevolezza duole", come li chiamo io. Tutto ciò che accade e che porta emozioni forti può in realtà fare questo lavoro interiore, se glielo permettiamo.

Io credo che nel mondo incontriamo le esperienze che ci servono per crescere, per evolvere come anime. 

Tu in che cosa credi?

Io sono cresciuta in una famiglia cattolica ma non pratico, sono un po’ distante dai riti. Credo, comunque, che ci sia qualcuno al di sopra di noi. Mi definisco più una persona con un forte spinta a ricercare interiormente le risposte. L’ho sempre fatto, interrogarmi. Le mie insegnanti mi chiamavano "la sognatrice".

Ascoltando il suo racconto non ho dubbi che R. possa aver guadagnato quel soprannome. Racconta tutte le sue esperienze, anche quelle difficili, con quella sua voce calma  e nessuno potrebbe immaginare che sotto a quella superficie apparentemente tranquilla si nascondano delle domande cosi profonde e delle fragilità così umane.

Tanti auguri R.! E grazie per il tuo racconto.

Giulio e David sono uomini fortunati...  e anche il mondo ad averti. 

“Tanti auguri a te, Anima bella, che sei uscita da quel cancelletto in fretta e furia, per andare a festeggiare con la tua amica del cuore................15 anni!

Il primo compleanno che non sarai con me, appiccicata.

La prima volta che non ho niente da fare, perché anche stasera starai con gli amici.

- Ti dispiace mamma? Tanto noi festeggiamo quando ci pare... giusto? -

- Giusto! -

Il mio cuore inciampa, ma è quello che ti ho insegnato: essere libera, seguire le tue emozioni, cercare sempre ciò che ti rende felice.

Ed ora scrivo qui le parole che vorrei dire a te...

Mi guardo dentro e so che questi anni sono stati un soffio.

Sento che mi hai regalato tante lezioni, facendomi scoprire cose di me che non sapevo di avere.

Sono cresciuta negli ultimi 15 anni, più che nei precedenti 32. Mi sono persa a volte, non sapendo la direzione da prendere e spesso mi hai aiutata tu.

Perché i genitori sono grandi ai vostri occhi, ma in realtà sono neonati che prendono vita solo con voi in una nuova pelle.

Con quel fagotto urlante vengono consegnate anche due pupille nuove fiammanti per vedere l'universo come non l'avevi mai visto.

Il problema è che non esiste un libretto di istruzioni!

Tutto ciò che c'è da sapere lo impari attraverso gli errori e i tentativi che spesso solo “a kiulo” vanno a buon segno.

La prima volta, con te, ho conosciuto l'amore che toglie il sonno, la rabbia che fa perdere la testa, l'ansia di non esserci un giorno, a proteggerti, a consigliarti, a farti ridere (a romperti i c@j@ni).

Oggi tu esci ed io resto.

E so già che passerò la giornata a girare sugo e a preparare cibo per la festa di domani (beh, posticipato, ma il party familiare ti tocca!).

So già che mi saliranno le lacrime (sicuro) e che sorriderò anche, sapendo che stai festeggiando nel migliore dei modi, il TUO.

Buon compleanno gnocchetta di mamma”

 

Scrivevo questa lettera il 30 Aprile di quattro anni fa e oggi la condivido qui, sapendo che molti di noi hanno provato ciò che sto provando io, vedendo i propri figli fiorire.

La nascita di Ilaria, per me, ha segnato uno spartiacque importante, e la data del suo compleanno io la considero anche un po' mia, il mio compleanno da "mamma", perché magari non ci pensiamo spesso, ma noi genitori nel nostro ruolo nasciamo solo quando sappiamo dell’arrivo di quel primo bimbo di cui avremo cura finché avremo respiro.

Siamo mamme e papà quando vediamo la doppia linea sul test, quando guardiamo la prima eco, quando ascoltiamo il cuoricino che batte frenetico, quando dopo il dolore lo stringiamo fra le braccia, quando facciamo la prima notte svegli.

Siamo mamme e papà da quegli istanti lì, chi prima e chi dopo, anche se i nostri figli ci hanno sempre considerati adulti, maturi, saggi.

Noi stessi lo abbiamo fatto con i nostri genitori.

Poi siamo cresciuti e li abbiamo criticati o amati ancora di più per le loro debolezze, per le loro mancanze.

Un genitore non sempre è pronto, non sempre ha spazio e risorse, non sempre riesce a trovare un equilibrio fra i suoi bisogni e quelli di chi "arriva dopo".

Un genitore non può fare marcia indietro, mai, e questo può spaventare e stancare persino gli spiriti più nobili.

Un genitore nasce con suo figlio e cresce, fiorisce, alla luce delle esperienze che si intrecciano attraverso la complessità delle proprie rispettive esistenze.

Quindi oggi buon compleanno a me, che compio formalmente 19 anni da mamma,

... e buona vita a tutti i genitori e ai figli che leggono questo blog, con il mio augurio di continuare a crescere e a fiorire insieme <3 

Negli ultimi tempi si parla molto, in psicologia, dell’enorme potere trasformativo contenuto in una forza apparentemente molto poco vistosa: la gentilezza. Esiste una vasta mole di studi che testimonia quanto mettere in pratica comportamenti affabili e premurosi abbia un impatto significativo non solo sugli altri, ma anche sul nostro equilibrio psichico e persino sulla nostra salute.

 Ma non scriverò di questo stamani, ci sono fior di articoli e libri che ne parlano in modo serio e approfondito.

Oggi vi racconterò di quella volta in cui la gentilezza ha incontrato me, cambiando all’improvviso la mia giornata e quella di chi mi stava vicino.

Lo farò attraverso una piccola storia breve, quelle che amo raccontare… una storia con il lieto fine che fa sorridere ed un messaggio da portar dentro durante la nostra giornata, come un'invisibile carezza sul cuore.

 

"Lezioni di guida con piccolo boost"

 

“La gentilezza è come la neve. Abbellisce tutto ciò che copre.”

Kahlil Gibran

 

Ilaria ha diciannove anni fra qualche giorno, studia per dare la maturità e, tra una zona rossa e l’altra, sta cercando di prendere la patente. Ogni giorno prendiamo la macchina e ci alleniamo sulle strade di Casal Palocco, facendo mille giri per il quartiere e dedicandoci del tempo da sole io e lei.

Adesso l’esperienza è diventata anche abbastanza rilassante, posso ogni tanto distrarmi guardando dal finestrino la natura che si risveglia o cambiando il cd nella radio. Ma all’inizio, consegnare la mia Micra alle sue mani insicure ed inesperte è stato come saltare ad occhi aperti nel buio di un pozzo.

Il problema più grande si verificava agli stop o ai semafori, poiché come possiamo ben ricordare tutti noi conducenti di veicoli, le partenze e i parcheggi vengono bene solo quando nessuno guarda o aspetta che tu mova il kiulo.

Ma è proprio qui, in uno di questi massimi punti di tensione, che è accaduto il miracolo della gentilezza.

Mentre la macchina si spegneva per la seconda volta e proprio quando stavo per girarmi verso la fila creata dietro di noi, mia figlia ha guardato lo specchietto retrovisore e ha sfoggiato il suo più bel sorriso.

“Hai visto mamma quel signore?”

“No amore, gli ho solo fatto un gesto di scuse con la mano. Che succede? Te c’ha mandato?”

“No, mi fa cenno di stare tranquilla. Mi sta dicendo “Dai dai”!”

Mi giro ma il signore nella vettura dietro mi sembra serissimo, o magari sono solo io ad essere serissima, perché troppo presa dalla tensione di vedere la mia cucciola in difficoltà.

In ogni caso, continuo a parlarle in modo sereno. Le dico di non preoccuparsi della fila, le ripeto che tutti hanno imparato a guidare. Ma lei non mi si fila di pezza, continua a osservare lo specchietto e a sorridere.

Poi mette la prima, guarda avanti, parte dolcemente.

Ha gli occhi lucidi ora, quasi piange dalla gioia.

“Non ci credo mamma, che dolce quel signore! Hai visto? Mi ha fatto anche il gesto del bicipite per darmi forza… mi faceva così con il braccio come a dire: Dai, dai che ce la fai”

Anche io sono profondamente colpita da quell’inaspettato gesto di gentilezza piovuto dal cielo, il cielo blu di un perfetto sconosciuto.

Penso con un po’ di vergogna alle mille volte in cui mi sono spazientita dietro ad un intoppo creato senza senso apparente, a quando ho sorpassato senza guardare chi fosse alla guida, alle volte in cui ho pensato che arrivare cinque minuti prima ad un appuntamento mi avrebbe svoltato la vita o a quando ho silenziosamente chiamato i santi dietro al signore col cappello.

E poi, realizzo quanto quel piccolo sipario di gentilezza durato al massimo dieci secondi abbia per sempre cambiato la nostra vita in positivo.

Ilaria non ha fatto che raccontare questo episodio per giorni.

Ogni volta che arriviamo a quello stop mi dice: “Che carino quel signore mamma, ricordi?”

E chi se lo scorda.

Giorni dopo quell’incontro fortuito, guidavo da sola per le strade di Ostia e mi son capitate ben due macchine della Scuola Guida davanti.

Per una volta non mi sono infastidita, non ho avuto l’impulso di sorpassare, anzi… non vedevo l’ora che mi guardassero nello specchietto per poter sorridere e fare il "gesto della forza".

Purtroppo erano bravi e non ho potuto restituire il gentile contributo offertomi giorni prima dall’universo, ma credo che questa lezione non mi abbandonerà più e ogni volta sono certa che proverò a dare il mio contributo al mondo, invece di stare sulle spine per il pensiero di qualche stupido minuto “perso” nel traffico.

Quei pochi minuti, da insulsi vuoti a perdere, possono letteralmente trasformarsi in un prezioso dono per qualcuno che ne ha necessità.

Non dimenticherò mai il momento in cui mia figlia non è stata trattata come un ingombro sul cammino di qualcuno, ma è stata riconosciuta e sostenuta nella sua difficoltà di superare una prima, difficilissima, prova di vita.

Io ti ringrazio signore sconosciuto.

Ringrazio la tua gentilezza.

Mi hai ricordato qualcosa in cui credo da sempre che si riassume in un antico detto:

“Per fare un bambino servono due esseri viventi e tanto amore ma… per crescere un bambino… serve tutta la tribù.”

E che sia una tribù gentile, amici miei, è il mio più grande augurio di oggi pastedGraphic_1.png

Vi auguro una Buona domenica ... e una buona Fioritura Interiore

 

Qualche giorno ho ricevuto questo messaggio:

“Sabrina ho un dubbio. Quanti di noi riescono a tenere accesa la speranza e la positività nei momenti più bui? Ci sono sofferenze che non hanno nulla da insegnare, semplicemente capitano e davanti ad esse rimani impotente.”

Questa domanda, in realtà, ne contiene tante. Quanti di noi riescono a mantenere la positività sempre, anche quando la vita sembra volerci girare le spalle? 

Non tutti, altrimenti non ci sarebbe tanta sofferenza nel mondo. 

Ci sono sofferenze che non hanno nulla da insegnarci? 

Si. Ci sono. La sofferenza è una reazione mentale al dolore, l’idea che noi ci facciamo rispetto ad esso e perciò alcune sofferenze ad un certo punto del nostro percorso di evoluzione cominciano ad essere inutili, non hanno più niente da insegnarci e vanno lasciate andare. 

Il dolore, al contrario, nel momento in cui arriva a sfiorare o a travolgere le nostre vite, lascia sempre un impronta riconoscibile e, a guardar bene, anche un qualche tipo di insegnamento.

La potenza distruttiva del lutto. Quando il dolore è qualcosa di inaccettabile

Può accadere di rimanere impotenti di fronte a situazioni drammatiche che non avevamo previsto e che letteralmente travolgono il corso delle nostre esistenze.

La morte di un nostro caro non è mai un evento facile da accettare e lo è ancora di meno se questo accade fuori dal “normale” corso degli eventi previsti. 

Può succedere, trovandosi di fronte a situazioni estremamente traumatiche, di rimanere impotenti e di sprofondare in un abisso di tristezza e immobilismo.

È un passaggio che può essere più o meno lungo, non esiste una regola generale che ci lasci predire quanto tempo passeremo in quella condizione; la lunghezza di tale fase dipende dalla storia e dalle risorse di ognuno di noi.

Per quella che è la mia  esperienza, posso dire che, per quanto sia difficile immaginarlo, arriva sempre un giorno in cui sentiamo la vita  richiamarci in superficie. 

Anche quando la situazione che ci ha buttato al tappeto è un grave lutto.

Come tornare a vivere attraverso il dolore? Senza fretta e accettando i nostri tempi interiori

Quando un evento tragico o il normale corso della vita ci porta a perdere una persona amata, anche l’immagine di noi subisce un grande colpo. Senza quella persona non siamo più gli stessi di prima, e tutta la nostra vita cambia a causa di questa percezione.  Percorrere cammini di sofferenza così intensi ci porta sempre ad una grande trasformazione interiore e può accadere di restare incagliati nelle emozioni sgradevoli per lungo tempo.

Si può tornare a vivere anche in questi casi estremi?

Mi è capitato di ascoltare racconti di persone che hanno attraversato l’inferno in terra e sono tornate, ognuno a proprio modo, a vivere delle esistenze serene e piene di significato.

Anche subendo perdite inimmaginabili, in un secondo tempo è possibile superare l’angoscia e la sofferenza attraverso un percorso di accettazione e consapevolezza.

Occorre però esser pronti, aver maturato dentro di sé la predisposizione a voler trasformare l’evento che ci è accaduto abbandonando le emozioni spiacevoli e abbracciando solo il ricordo buono di quella persona ed il significato intenso che quel legame ha ancora dentro di noi.

È importante non avere fretta e accettare i tempi di elaborazione di cui abbiamo bisogno, aldilà di cosa ci dicono le persone attorno a noi e di come vorremmo che fosse se avessimo una bacchetta magica in mano. 

Ognuno ha i propri tempi e i propri modi di vivere il dolore.

Apriamo la porta a questa consapevolezza e le emozioni cesseranno di ostacolare il nostro cammino.

Come accorgerci che stiamo tornando alla vita? Per ogni letargo c’è una nuova primavera

Con il passar del tempo, potrebbe accadere di avvertire in noi dei piccoli segnali di disgelo interiore, come una sensazione di risveglio dopo un lungo letargo. 

Qualcosa di potente può scuoterci dal torpore, per esempio l’incontro con qualcuno che amiamo, la nascita di un bimbo in famiglia, ma anche piccoli eventi apparentemente privi di significato. 

Magari stiamo solo girando la pagina di un calendario o aprendo un vasetto di marmellata. Magari siamo davanti allo spettacolo di un nido nuovamente abitato dalle rondini… Ed ecco che improvvisamente la luce del sole non ferisce più i nostri occhi, ma torna ad illuminare le cose intorno a noi e ad accarezzare e scaldare la nostra pelle, proprio come un tempo! Ecco che la natura non appare più un quadro muto e inerte, gli uccellini cantano nuovamente, l’acqua scorre nel fiume e tutto sembra parlarci con una nuova lingua. Le persone che incrociamo non sono più estranei perennemente in corsa, ma occhi che sorridono e accolgono. 

Arriva il momento in cui capiamo che, pur essendo la nostra vita cambiata per sempre, siamo ancora in grado di far qualcosa di buono con il resto del tempo che abbiamo a disposizione.

Come procedere oltre il dolore? Un passo alla volta e mettendoci amore

Il fatto che non ci sia un “dopo” che possa essere uguale ad un “prima”, non esclude la possibilità di accogliere una nuova realtà dove sia possibile ancora trovare un senso. 

Un piccolo passo alla volta, può accadere di sentire rinascere il desiderio di donare ciò che abbiamo dentro, di ricevere le piccole meraviglie che ogni giornata ha in seno, di onorare il piccolo o grande pezzo di strada che abbiamo ancora da percorrere.

Permettere al dolore di schiacciarci, o lasciare che questo ci mostri la via per apprezzare i minuscoli enormi miracoli che la vita ancora offre, è una decisione che spetta solamente a noi.

Per compierla, dobbiamo fare una scelta importante: mollare il dolore e abbracciare l’amore.

Tornare alla vita. Amare oltre la morte

La VITA per chi resta è un richiamo potente, il più forte di tutti. 

Finché abbiamo respiro abbiamo anche in noi la capacità di amare e amare è un’azione possibile, in qualunque momento e in qualunque  situazione. 

L’essere umano è capace di produrre amore anche davanti alla morte e oltre la morte. 

Nel libro Uno psicologo nei lager Victor Frankl affronta il tema della sofferenza e della fine, lasciandoci una delle lezioni più preziose per un essere umano: di fronte all’orrore del campo di concentramento il prigioniero può lasciarsi vincere dalla violenza e cedere alla fame, alla paura, all’umiliazione, al dolore fisico e annullare la propria vita spirituale o può decidere di accettare ciò che gli accade per restare umano, per godere anche, qualora possibile, della vista di un tramonto rubato. Può scegliere di usare quella sofferenza per elevarsi interiormente.

Accogliere quanto accaduto senza essere travolti, senza avere l’impressione di subire un’ingiustizia, è forse l’azione più difficile da compiere.

Accettare che la vita sia diversa per sempre e scegliere di continuare a mettere un passo dopo l’altro, è forse l’azione più coraggiosa.

Solo riprendere il nostro potere di aprire la porta al futuro potrà restituirci la serenità di guardare al passato. 

Solo sostando nel qui ed ora, restando sulle nostre emozioni a lungo e senza giudizio, lasceremo che l’amore prevalga sulla paura, sul senso di colpa, sulla vergogna e si, anche sulla sofferenza.

L’amore ha bisogno di poco spazio per tornare a prorompere, basta socchiudere leggermente la porta della nostra attenzione e lui farà il resto.

Non serve neanche guidarlo verso le nostre ferite. Sa la strada. Per il semplice fatto che l’amore è sempre stato lì, sepolto come un seme d’inverno, pronto a fiorire e a dare a chiunque una nuova possibilità di rinascita interiore. 

 

Nota importante: Se il ritorno alla vita non accade naturalmente e si resta bloccati nelle emozioni, dopo un certo periodo di attesa, occorre chiedere aiuto. Che sia un aiuto psicologico filosofico medico o spirituale ... questo dipende dalla persona che si è incagliata nella sofferenza.

Per qualsiasi dubbio su voi stessi o su persone a voi care, scrivete un messaggio al mio numero 335.28.38.28 e vi risponderò personalmente.

“La mattina dopo” è un racconto molto intenso e toccante che parla di tutte quelle mattine in cui apri gli occhi e realizzi che qualcosa è finito per sempre e la tua vita non tornerà mai quella di prima.

“Le cose peggiori sono il silenzio, e la fine di un tempo scandito da riti e abitudini. Ogni volta che me ne rendo conto sento quel vuoto allo stomaco che si prova quando ci si tuffa dall’alto.

Ogni persona che incontro fa le stesse domande.

“Che cosa è successo” e poi “Ma adesso, cosa farai?”

Non ho voglia di rispondere a queste domande troppo spesso e quando lo faccio rispetto un paio di regole che mi sono venute spontanee.

Niente lamentele: i dettagli che interessano a me non interessano a nessun altro.

E niente finto ottimismo. Il miglior favore che ci si può fare in un momento di crisi è di non fingere che le cose vadano benissimo e che un milione di progetti ti aspettino.

Così dico semplicemente che sto scrivendo un libro, questo libro.”

Mario Calabresi

"La mattina dopo" si legge in un soffio, anche se in realtà io l’ho ascoltato, seguendo la voce dell’autore attraverso un lungo sentiero di storie da percorrere in religioso raccoglimento. Ho ammirato i personaggi descritti: uomini e donne forti, luminosi nella loro capacità di rialzarsi ed incredibilmente umani nell’espressione delle proprie emozioni, dei propri dubbi e delle proprie domande di fronte alle sfide più impegnative della vita.

Anche questo libro sembrerebbe essere, del resto, figlio di una di queste sfide, il risultato di un imprevisto, quanto fertilissimo  inciampo.

O forse, invece, è l'espressione di un pensiero già allenato a resistere alle difficoltà, il frutto di un atteggiamento abituato a trasformare le cadute in blocchi di partenza sui quali darsi la spinta verso nuove entusiasmanti corse.

Molti nostri grandi risultati nascono dall'elaborazione di una caduta o di un grande dolore. "La mattina dopo" è il meraviglioso frutto  di questo processo di elaborazione

Dopo soli tre anni di attività in qualità di direttore del quotidiano “La Repubblica”, Mario Calabresi viene informato, da un giorno all’altro, che verrà sostituito. Con il lavoro egli lascia il suo ruolo, il suo tempo vorticosamente impegnato, le centinaia di persone di contorno e le mille abitudini e dipendenze che caratterizzano la sua routine.

Con la carica di direttore, se ne va una parte importante di sé.

Trovandosi di fronte ad un cambiamento così netto e doloroso egli sceglie di trasformare l'enorme vuoto che si apre davanti a lui in un inaspettato dono fatto di tempo e persone care.

Così, scrive e pubblica “La mattina dopo”, che contiene il racconto di tantissime storie vere piene di dolore, amore, valori saldi, bellezza, forza e capacità di rinnovo.

Facendo una piccola ricerca, scopro che "La mattina dopo" non è l’unico progetto che concretizza: in un solo anno Mario Calabresi scrive un secondo libro, contribuisce a creare una casa editrice di podcast che ora dirige e crea una newsletter dove ha la possibilità di fare il giornalismo che piace a lui, quello con l’essere umano al centro della storia.

“Scrivere all’alba la news letter e trovare una o più storie ogni settimana non è un’impresa semplice, ma non è mai un peso per me. Questa è una fatica che mi fa felice.”

Le otto lezioni di ottimismo e coraggio tratte da "La mattina dopo"

Cadere, farsi male e rialzarsi è una regola che non risparmia alcun essere umano su questo pianeta: l'importante per noi è non farci prendere dallo sconforto e cercare di far tesoro di ogni caduta.

"Cadere non è un fallimento, il fallimento è rimanere là, dove si è cadutidiceva il grande Socrate.

Ecco, dunque, sintetizzate, le otto lezioni che ho appreso da “La mattina dopo” e dalla vita efficace, intensa e piena di questo coraggioso autore:

  1. Il dolore non risparmia nessuno.
  2. È meglio agire piuttosto che lamentarsi.
  3. È più appagante essere onesti piuttosto che apparire sereni.
  4. Quando il tempo è di qualità si allarga e ci consente di fare tutto ciò che desideriamo.
  5. Quando fai ciò che ami riesci a trovare le energie per compiere tutto ciò che “devi”.
  6. Quando trovi il significato in ciò che fai, le cadute non sono che occasioni per fermarsi, per interrogarsi su ciò che desideriamo e per crescere e raggiungere una migliore realizzazione di noi stessi. 
  7. La fatica che si sente nel fare cose in linea con i nostri valori e in direzione dei nostri desideri è una fatica che ci rende felici. 
  8. Quando la vita “ti dice di no”, abbiamo ancora la possibilità di dire di si. Si all’amore. Si al proprio sorriso e alla voglia di far sorridere gli altri. Si alla meraviglia. Si al condividere i pesi, le gioie e gli importantissimi apprendimenti. Si alla vita. 

Spero che questo mio articolo sia di ispirazione a chi si trova in blocco e anche a chiunque si stia facendo delle domande sulla bontà del proprio cammino e sull'utilizzo del proprio tempo :)  

Se vuoi scrivermi la tua personale esperienza sarò lieta di leggerla e di risponderti personalmente :) 

Non ho tempo!

Quante volte abbiamo detto questa frase o l’abbiamo sentita pronunciare da chi ci è vicino?

Uno dei problemi più rilevanti per noi donne e uomini moderni è quello di trovarci pian piano immersi in uno stile di vita che non ci permette di avere il controllo sulla nostra risorsa più preziosa: il tempo. 

Considerando le numerose richieste di aiuto che arrivano nel mio studio a causa del cosiddetto stress, posso dire con certezza che una certa sensazione di “apnea” affligge tantissime persone che si trovano ad affrontare una vita fatta di corse, di rinunce e di impegni che non sempre si possono scegliere.

Slalom via via più complessi vengono organizzati per rispondere alle richieste di un mondo ogni giorno più veloce, mentre le nostre esigenze profonde giacciono inascoltate e arrese sul fondo della nostra consapevolezza. 

Ma è davvero questa la realtà delle cose?

Non abbiamo davvero il giusto tempo necessario per fare le cose a cui teniamo, o è solo una delle tante idee di cui la nostra mente si è gradualmente convinta?

 

Il tempo che abbiamo e il tempo che gettiamo dalla finestra

Se facciamo un piccolissimo esperimento e annotiamo su un foglio bianco tutte le ore che passiamo giornalmente al telefono o sui social, allora ci accorgiamo che non è proprio il tempo a mancarci, ma qualcosa di diverso. 

Il mio i-phone ne è testimone ogni settimana, nel momento in cui mi consegna il resoconto della mia attività senza neanche chiederlo: un mucchio gigantesco e sterile di ore perse.

“Si ma io con il telefono ci lavoro!” “Quante volte mi fermo a scrivere sul telefono perché sono ispirata, mica sempre ho il PC dietro!” “Forse nel cumulo di ore si calcolano anche gli audiolibri…” 

Stupidaggini!

Se avessi telefonato meno a caso, o se avessi tolto certe App dal dispositivo, potrei affermare di aver usato in modo produttivo uno strumento tecnologico utilissimo. Ma mi sono guardata bene dal cancellare i social dal mio cellulare! 

E se poi mi venisse un’irrefrenabile desiderio di postare proprio quella meravigliosa, originalissima foto del mare d’inverno, uguale agli altri ottocentottantottomila flutti ostiensi immortalati dal Marzo 2020 ad oggi? Come poter frenare l’entusiasmo fino a casa?

Questo pensavo, fino a pochissimi giorni fa.

Non sapevo che stavo per cambiare idea, grazie ad un bellissimo “incontro” che mi attendeva sul cammino…l’incontro con un libro speciale!

Prima di leggere “Riconquista il tuo tempo”, di Andrea Giuliodori, non mi ero mai scervellata troppo per capire come stavo impiegando la mia giornata, tanto… in qualche modo dovevo far passare queste 24 ore che ho a disposizione ogni giorno!

Così,  programmavo le attività necessarie e poi trascorrevo in maniera un po’ casuale quelle piccole quantità di tempo “avanzate” tra un impegno e l’altro. 

A chi non è successo di tirar fuori il cellulare sui mezzi, o nella sala di attesa di un medico, o anche solo mentre si fa la fila alla cassa del supermercato?

Il paradosso in cui ci troviamo a vivere, dunque, è molto particolare: pensiamo di non avere tempo per fare ciò che ci piace perché siamo presi dalle corse verso i nostri impegni, ma poi, per sopire l’insoddisfazione che ci deriva dal non fare ciò che amiamo, perdiamo minuti e ore sui social, illudendoci di avere davanti a noi un tempo infinito. 

E così ci troviamo a dire che passeremo “dopo” a salutare quell’amico, che visiteremo “poi” quel posto in cui vogliamo andare da tempo, che faremo “più tardi” quell’attività che ci fa sentire vivi.

 

“Dopo”, “poi”, “più tardi”. Le parole trappola dove cadono i nostri desideri 

Ci capita spesso di pensare e dire queste parole: “dopo”, “poi”, “più tardi”, “più in là”, rimandando ad un momento idealmente più favorevole ciò che vogliamo realizzare o anche solo sperimentare. 

Lo facciamo finché quel “dopo” diventa “domani”, quel “domani” diventa “durante il week end” o “quando avrò le ferie”, quel “quando avrò le ferie” diventa “quando andrò in pensione”. 

“Se” andrò in pensione.

Il mio amato patrigno aveva rimandato alla fine della sua carriera lavorativa uno dei suoi più grandi desideri: fare un fantastico giro della Sicilia con la sua barca a vela.

Quel “poi”, però, non è mai arrivato, perché la morte ce lo ha strappato via in pochi mesi, qualche metro più in là del raggiungimento di quell’agognato traguardo.

Per fortuna il nostro “Capitano” (così lo chiamavamo quando volevamo affettuosamente prenderlo in giro) era un tipo che sapeva vivere al meglio anche ogni singolo momento della sua quotidianità, che si trattasse di verniciare la chiglia della sua “Estimada”, di far assaggiare un cibo nuovo alla mia bimba, o anche solo di ammirare la magia del tramonto seduto sulla sua terrazza. 

A me però quel suo sogno, quel veleggiare verso Noto, è sempre rimasto nel cuore, come una delle tante gemme cadute dal mio susino ancora chiuse, spazzate via da uno scirocco beffardo.

La gestione del tempo è un tema essenziale, che tocca la vita di ognuno di noi e non ha senso rimandare al capolinea le decisioni che ci servono oggi,  adesso, per godere di una vita piena e felice.

 

Come riconquistare il nostro tempo: un occhio alla consapevolezza e uno alle cattive abitudini 

Riconquistare il nostro tempo non è un’impresa semplice, specialmente se siamo preda di cattive abitudini e se non abbiamo piena consapevolezza delle conseguenze che possono avere anche piccole azioni sul nostro futuro.

Ma come fare a contrastare l’inconsapevolezza e le abitudini dannose?

È davvero possibile iniziare a vivere tenendo a mente che il nostro tempo sulla Terra è limitato e, grazie a questa cognizione, riuscire ad allargare ogni singolo attimo della nostra esistenza? 

Da mamma e da libera professionista so quanto sia difficile cambiare le nostre giornate e so quanta fatica costi fare “tutto ciò che serve” incastrandolo a “tutto ciò che ha valore” per noi stesse. 

La vita di una mamma è un percorso fra ostacoli di ogni tipo e rimanere focalizzate sui nostri obiettivi è una prova che non sempre si riesce a superare con successo, o comunque, con l’idea di aver fatto tutto bene. 

Le sensazioni che accompagnano le gioie della maternità sono spesso contrastanti e non tutte gradevoli.

Le emozioni spiacevoli si vanno ad aggiungere, come peso extra, al fardello delle responsabilità e dei doveri che ci piovono addosso da un momento all’altro.

Le mamme che incontro nel mio studio riportano spesso vissuti di:

  • frustrazione, per non riuscire a vedere i risultati di tutti gli sforzi fatti.
  • solitudine, per non essere "viste" nella loro fatica.
  • rabbia, per non avere la possibilità di rigenerarsi a dovere.
  • senso di colpa, per aver necessariamente tolto qualcosa a qualcuno

Molto spesso, quel qualcuno siamo noi stesse. 

Per anni, dopo la nascita dei bambini, mi sono trovata solo a reagire a quanto accadeva intorno a me, cercando di ritagliare con le unghie e con i denti lo spazio per la mia passione, l’hip hop, o quello necessario a passare un po’ di tempo spensierato con i miei amici. 

Il sogno di realizzare dei progetti miei, di esplorare altri ambiti e quello di crescere come professionista rimanevano, però, a prendere muffa nell’armadietto dei pannolini prima, e dei libri scolastici poi.

Come fare, dunque, per uscire dal frullatore in fretta e senza dannosi strascichi emotivi? Come possiamo riconquistare il nostro tempo?

 

Riconquistare il nostro tempo in modo semplice e senza troppi sacrifici: ecco come ho fatto spazio al cambiamento

Un giorno, per caso, mi sono imbattuta in uno degli articoli di EfficaceMente che parlava della gestione del tempo e ho capito che non era il tempo a mancarmi.

Il mio problema non era nel "quanto” ma nel “come” e, per l’esattezza, nel modo in cui gestivo me stessa in relazione ai preziosissimi 86.400 secondi che avevo a disposizione ogni giorno della mia vita.

“Non cambierai mai la tua vita finché non cambierai qualcosa che fai quotidianamente” 

Andrea Giuliodori

Non era vero che mi mancava il tempo, ciò che dovevo imparare era a gestire meglio me stessa rispetto al tempo che avevo a disposizione. 

Per arrivare a dar corpo ai miei desideri, dovevo agire su me stessa, e per farlo dovevo migliorare la mia organizzazione!

Le sfide con i pargoli e gli eventi difficili incontrati durante il corso della vita avevano allenato la mia elasticità e nutrito la mia resilienza, ciò che mi mancava era reinserire la pianificazione e l’organizzazione nella mia quotidianità, esattamente come avevo fatto all’università e dopo, durante la specializzazione.

Dovevo rispolverare quei ricordi sfumati di me che avevo appeso come vecchi quadri nella cameretta dei bambini e imparare nuove strategie e tecniche dal migliore blog in circolazione, quello di Andrea Giuliodori, che ha fatto del “Time management” il suo cavallo di battaglia.

Dopo aver letto gran parte del materiale presente sul blog, mi sono finalmente avventurata nel libro “Riconquista il tuo tempo”, che ho letto in un soffio.

 

“Riconquista il tuo tempo. Vinci le distrazioni, riprendi il controllo delle tue giornate e migliora la tua vita”

Questo libro di Andrea Giuliodori è un testo che consiglio veramente a tutti, poiché cambia in maniera radicale e permanente il modo di vedere noi stessi rispetto alla dimensione “tempo”.

Già nel primo capitolo, grazie all'immagine dello "schermo magico", ti senti trasportare verso un bellissimo viaggio, quello attraverso la scelta e la costruzione della versione migliore di te stesso.

La lettura è scorrevole, le teorie e gli esperimenti vengono spiegati in modo semplice e chiaro, tanto che sono arrivata alla fine del libro in un paio di giorni, semplicemente, come consiglia il libro, rinunciando per alcuni giorni alla lettura delle notizie sui social.

La curiosità mi ha guidata pagina dopo pagina, i capitoli sono letteralmente volati compiendo gli esercizi e la lettura mi ha lasciato addosso quella magica sensazione di pienezza che ti regala il tempo trascorso “bene”.

Attraverso il procedere dei capitoli ho riflettuto a fondo su ciò che è meritevole di attenzione nella mia vita e ciò che invece succhia solo tanta energia senza dare niente in cambio.

In più, ragionando sulle evidenze scientifiche e sulla mia quotidianità, ho capito l’importanza di inserire dei comportamenti alternativi nella mia routine.

Da professionista della salute mentale, e da mamma, ho particolarmente apprezzato la sezione dedicata alle conseguenze negative di un utilizzo sbagliato della tecnologia e dei social sul nostro benessere.

Come donna che fa tante cose contemporaneamente… il capitolo dedicato al falso mito del multitasking mi ha davvero entusiasmata!

Adesso so come recuperare la risorsa più importante: il mio tempo. 

Ciò che devo fare è solo mettere in pratica, con costanza, quanto appreso. E se voglio farlo è meglio che io inizi da subito, oggi, togliendo le App dei social dal telefono, dedicando ad essi il giusto spazio e scegliendo con cura ogni giorno le persone e le attività alle quali donare il mio tempo.

Vorrei chiudere questo articolo con un proverbio che per me è di grande impulso per guardare al futuro:

 

“Qual è il momento migliore per piantare un albero? 

“Vent’anni fa.”

“Qual è il secondo momento migliore? 

“Oggi”

Antico proverbio cinese

 

Costruire una versione migliore di noi è possibile, il primo passo da fare è ora. 

Buona lettura!

 

 

 

In Danimarca esiste una libreria dove puoi prendere in prestito delle persone in carne ed ossa per ascoltare i loro racconti di vita.

Quando la mia collega Cleide si imbatte in questa notizia mi telefona immediatamente: 

“Sabrina, perché non facciamo la stessa cosa qui? Possiamo creare una piccola biblioteca dove chiunque possa condividere la sua storia ed essere di sostegno ad altre persone… Che ne pensi?”

Sentendo il suo entusiasmo e intuendo le potenzialità di un progetto simile, non ho alcuna esitazione! 

“Va bene - rispondo - “Facciamolo!”

Prendere in prestito una persona in carne ed ossa come se fosse un libro … è un’idea un po’ stravagante ma, perché no? 

Cleide ed io siamo abituate a lavorare in tandem ed è sempre un’esperienza appagante e ricca di lezioni da portare a casa, solo per questo direi si ad ogni cosa che mi propone!

E poi, sarà il momento di estrema povertà nelle relazioni sociali che mi porta a sognare un mondo dove ci si incontra nuovamente davanti ad un tè per raccontarci una storia, sarà che credo profondamente nel potere curativo dei racconti, ma non posso non innamorami subito di questa iniziativa.

Ed ora eccoci qua,  all’inizio di una bellissima nuova avventura da condurre insieme! 

Dopo pochissimi giorni di incubazione, la nostra Libreria Vivente sta finalmente partendo.

Moltissime persone hanno deciso di diventare “libri parlanti”, altre si sono messe in lista di attesa per leggere le originalissime narrazioni in essa custodite.

 

Ma come funziona, in pratica, la Libreria Vivente?

È tutto molto semplice... 

Il Gioco della Libreria Vivente: un mondo di storie tutte da scoprire e da ascoltare

La Libreria Vivente ha come idea di fondo il lasciare che le persone possano essere aperte e “sfogliate”, esattamente come fossero libri

In questa strana biblioteca, gli individui in carne ed ossa si trasformano momentaneamente in “pagine parlanti" che possono essere prese in prestito e intervistate, o anche solo ascoltate in silenzio. 

Dalla nostra lunga esperienza a contatto con le persone, abbiamo appreso che per raccontare episodi di valore non occorre aver compiuto imprese eccezionali. 

Non importa aver scalato il Terminillo o essere riusciti a salvare tutte le nutrie del Tevere per essere di ispirazione ad un’altro essere umano.

A volte, è sufficiente narrare come abbiamo superato un ostacolo, come abbiamo risolto una situazione, come abbiamo conquistato un obiettivo ... e possiamo essere di aiuto a chi ci ascolta! 

Crediamo, infatti, che ciò che diamo per scontato nella nostra vita possa diventare un insegnamento importante per un altra persona che sta vivendo la stessa situazione.

Oltre a ricevere un sostegno emotivo ascoltando la storia di un altro essere umano, il lettore può anche usufruire di altri vantaggi, come ad esempio allargare il suo punto di vista su vari argomenti e questioni. Conoscere meglio le persone e il loro vissuto ci aiuta ad entrare in mondi diversi e poco conosciuti, allena l’empatia e apre il nostro sguardo su molte realtà che possono essere oggetto di pregiudizi e false credenze. 

Attraverso il racconto e l'ascolto possiamo offrire aiuto, sentirci utili e nel contempo godere dello scambio umano che ci fa crescere insieme a persone simili e diversissime da noi, in un confronto costruttivo ed arricchente per entrambe le parti. 

Perché perdere un'occasione come questa? 

 

Come diventare un Libro Vivente e donare agli altri la propria esperienza 

Al momento contiamo già su tantissime persone che si sono offerte di raccontare la propria storia.

La Libreria sta pian piano popolandosi di “titoli” che stanno facendo presagire la magia che si sprigionerà entrando in questa straordinaria esperienza.

Ma come decidere la nostra “headline?”

Il titolo è un modo per presentarci e per dare un’idea del contenuto del nostro racconto.

Nella biblioteca non figurerà il nostro nome, ma solo la lista di titoli con accanto il numero di telefono o il riferimento attraverso il quale il narratore vuole essere contattato dai potenziali lettori. 

L'interessato scriverà un messaggio senza sapere chi c'è dall'altra parte del filo... potrà rispondere un uomo o una donna, potrà essere grande, giovane, italiano o straniera... quello che conta è la storia che è stata scelta e che siamo impazienti di ascoltare. 

Una volta consultata la lista, quindi, i lettori saranno liberi di prenotare la storia da ascoltare, semplicemente scrivendo un messaggio all'interessato e concordando un appuntamento. 

Per il momento, gli incontri avverranno al telefono oppure in videochiamata.

Un giorno non molto lontano torneremo ad incontrarci di persona e leggere e raccontare saranno un ottimo pretesto per stringere nuove amicizie e allargare gli orizzonti della nostra esperienza. 

 

Il Titolo racconta molto di noi. Qualche esempio tratto dalla nostra Libreria Vivente 

- La vita che non ti aspetti

- Mamma di pancia e mamma di cuore: l'affido

- Con il sorriso, sempre!

- Il coraggio di cambiare

- Abili nel cuore

- La gioia di partorire

- La forza della resilienza

- Un'amicizia complementare

- Ce la possiamo fare!

- La rosa della famiglia Addams

- Una mamma in affanno

- L'amore oltre la disabilità

- Io sono in te e tu sei in me: noi siamo uno

- Madre in gabbia

- NewYork tra mito e realtà

- Amarsi più di prima, dopo inaccettabili rivelazioni

- Non tutti i padri vengono per nuocere

- Amici per caso, genitori per scelta

- Anima migrante

- La clinica del perdono

- La targhetta del tempo

- Che m'areggi i zoccoli?

- Alla scoperta di me, il mio cammino verso me stessa

- Il ragazzo partigiano

 

“La Human Library”: come nasce e perché: alcuni cenni storici sulla fonte di ispirazione del nostro progetto

La Human Library nasce nella primavera del 2000 in Danimarca, a Copenhagen, per mano di Ronni Abergel e suo fratello Dany, con l’aiuto dei colleghi Asma Mouna and Christoffer Erichsen. 

La scintilla che da vita a questa iniziativa è l’aggressione razzista che capita ad un membro del loro gruppo e che fa nascere una riflessione sui motivi alla base di molti atti violenti.

Combattere l’ignoranza e l’odio immotivato diventa l’obiettivo principale del progetto.

Molti individui che si offrono di diventare “libri” fanno parte di minoranze e sono coscienti di avere un problema nell’essere visti e riconosciuti dalla maggioranza delle persone.

Oggi, l’organizzazione si è radicata in ben cinquanta Paesi. Alcune biblioteche sono permanenti, altre vengono allestite solo per un breve periodo.

 

TI È PIACIUTO IL NOSTRO PROGETTO? 

Se la nostra iniziativa ti ha entusiasmato e vuoi far parte dello Staff dei narratori della nostra Libreria Vivente, allora segui attentamente le istruzioni per unirti al progetto :)

Istruzioni per i narratori:

  • Mandare un messaggio ai numeri 335 28 38 28 - 334 353 11 54 scrivendo dove potere ricevere i moduli di adesione.
  • Indicare un numero telefonico/mail/profilo dove poter essere contattati dai lettori.
  • Compilare e restituire il modulo per il consenso alla privacy (importantissimo) al fine di poter essere inseriti nella lista dei libri parlanti. 

Ricordiamo a tutti gli associati il divieto di fare pubblicità alle proprie professioni/attività commerciali e di non utilizzare i contatti ricevuti per inviare materiale di promozione  personale. 

Alla base del nostro progetto c'è la voglia di connettersi in modo libero e gratuito, al fine di crescere insieme emozionandoci e divertendoci!

Siamo tutti libri aperti, lasciamoci leggere...

 

 

Il mio è un lavoro particolare. Per uno psicologo non è facile separare ciò che fa in studio da ciò che è fuori, né è sempre possibile lasciar cadere la penna a fine seduta e tornare a casa senza portare dietro quel carico di emozioni che emergono attraverso ogni tappa della terapia.  

Un’energia potente sgorga dai fiumi di parole, dai gesti, dai silenzi condivisi nel caldo guscio della Stanza 1, la mia preferita, quella con la stampa di Klimt alle mie spalle e i pesciolini nell’acquario che danzano, ignari di tutto il dolore che scorre.

Da quando esercito, non c’è una persona che non abbia lasciato un piccolo cambiamento in me, nel mio modo di vedere il mondo. 

Ogni racconto è una finestra da aprire e un labirinto nuovo da percorrere insieme, ogni domanda è una tela da dipingere con colori spesso solo distrattamente dimenticati in un vecchio cassetto. 

Non sempre scrivo ciò che mi lascia questo ricchissimo scambio umano. Stasera, però, non riesco a dormire senza scrivere le emozioni che sento dentroIl colloquio di oggi pomeriggio ha lasciato in me una dolcezza infinita e una profonda gratitudine. 

Così, anche se la mia Signorinaocchigrandi non può leggere queste mie parole, io le scrivo lo stesso, affinché il mio pensiero e la mia energia la possano raggiungere e arrivare anche a tutti quei ragazzi che vivono le ruvidità di questo presente un po’ diverso da come lo avevamo immaginato per loro. 

Lettera aperta alla mia giovane paziente 

“Cara Signorinaocchigrandi, prima di tutto le vorrei dire che è un onore aver ricevuto la sua richiesta di aiuto e un privilegio riuscire a portare un pezzetto di sereno nel suo caos fatto di dossi, salite e curve strette. 

L’adolescenza è una brutta bestia. 

Lo è per lei, ma lo è stato (davvero) per tutti.

Non posso dirle ciò che ho pensato e fatto io alla sua età, il codice deontologico non prevede tali confidenze ... Ma mi creda sulla parola: se ce l’ho fatta io, ce la farà di sicuro lei, che si vede lontano un miglio che ha la stoffa dei campioni.

Le cose che vuole dirmi già le so, le leggo nel velo di tristezza che le incurva le spalle.

Andare a scuola era noioso, ma ha appena scoperto che non andarci è forse peggio.

Ha pian piano dovuto rinunciare alla sua vita, un pezzo alla volta, mollando lo sport, le passeggiate in gruppo, i fast food nel pomeriggio, le prime serate in disco, gli sleep over, le gite, i giri in metro fino in centro, gli ape colorati e le cioccolate con panna nei bar affollati di risate e schiamazzi. 

Ha dovuto festeggiare i compleanni in due o tre gatti spennati, senza vestito elegante e senza poter abbracciare i nonni. 

Ha passato il Natale più solitario della sua giovane vita e ha dovuto programmare le uscite guardando il rosso sul calendario invece del grigio del cielo. 

Ha dovuto fare amicizia attraverso uno schermo, rinunciando agli amori immediati e spontanei che nascono dallo star insieme fuori casa ore e ore a cazzeggiare, vagando senza meta, bevendo dallo stesso bicchiere e trovandosi ad un tratto così vicini da potersi sfiorare e baciare.

È facile in questa palude di stimoli mutilati sentirsi soli. Impauriti. Sbagliati.

È naturale piangere a fiumi, o restare seduti muti come arbusti, se ogni volta che ti alzi "ci" prendi la sveglia.

Però voglio dirle una cosa Signorinaocchigrandi: diventare adulti è un’impresa ardua da sempre.

Per ogni donna e per ogni uomo del pianeta l’adolescenza è lo stesso identico film, cambiano i personaggi, gli scenari, i dialoghi … ma la storia è sempre la stessa: tu stai di merd@ e il mondo non si volta a raccogliere i pezzi di cuore che spargi per strada.

Lei Signorina oggi fa una scelta coraggiosa, ferma la giostra che non la diverte più e socchiude la mia porta.

E non sarà divertente, né facile aprirla. 

Da qui intravedo un cammino pieno di semafori, fango e tunnel segreti ancora da mappare.

Lei mi guarda speranzosa dopo che l’ora è scivolata via, lo sguardo teso che attende indicazioni e risposte, ed io in cambio le offro solo un sacchetto pieno zeppo di nuove domande. 

Le dico solo una cosa, e magari non colmerò il suo vuoto (ma il mio un po' si) : il male che sente ora non durerà per sempre. 

Un giorno lei si volterà e sorriderà della sua meravigliosa vulnerabilità, dei suoi pensieri un po’ pazzi.

Non c’è crescita senza dolore e non esiste felicità senza termini di paragone incisi sulla nostra pelle.

Io so che una vita straordinaria la aspetta là fuori, insieme ad una cascata di esperienze meravigliose da scoprire, scartare e gustare come quadretti di cioccolata trovati sul cammino. Lo so perché vedo nei suoi occhi grandi le mille e più risorse ripiegate nei suoi “Non credo”, nei suoi “Non so”.

Stasera vada a letto pensando di esser stata coraggiosa, prima di chiudere gli occhi si concentri sulla forza che sobbolle in lei e sorrida: respirare in un sorriso renderà il sonno sereno e luminosi i suoi sogni. 

In attesa del vento giusto e finché lei me lo chiederà, soffieremo insieme per spiegare metro metro le sue ampie e maestose vele. 

Il futuro è lì che aspetta radioso, come un sole nascosto oltre le nubi di questo stop.

Adesso posso finalmente posare la penna ;) e sperare di avere sogni luminosi anche io, perché sto respirando a fondo e perché sto sorridendo, grata di ciò che ho ricevuto anche stavolta. 

Buonanotte Missocchigrandi ... e buon viaggio a noi.

Anni fa, ho fatto un lungo viaggio in Florida con la mia famiglia.

Miami è stata una dolce scoperta: il clima caraibico ci permetteva di andare a maniche corte in quello che per noi era pieno inverno ed ogni giorno andavamo alla scoperta di posti nuovi che mi lasciavano incantata per la bellezza e l'unicità della natura.

Come sempre accade quando sono in "modalità escursione", però, è stato l'incontro con le persone a lasciare in me la traccia più profonda.

Ogni viaggio, infatti, è un'occasione imperdibile per conoscere un po' meglio l'essere umano e, perché no, per scoprire anche delle parti nascoste di me che non aspettano altro che l'occasione giusta per emergere.

Spero che questo mio piccolo racconto porti un po' di leggerezza a chi legge, insieme alla possibilità di immaginare luoghi lontani e diversi in un momento in cui siamo tutti impossibilitati a viaggiare.

Spero anche che i miei pensieri stimolino le solite domande sulle nostre abitudini di pensiero e sulle mille cose che vorremmo e potremmo cambiare nelle nostre vite, persino senza muoverci di un metro dal nostro isolato!

Buona lettura :)

 

Take the Bus and... Take your time!

Sono entrata in un sogno qui in America, il sogno di ogni bambino. E non visitando Magic Kingdom, che pure è stata una bella esperienza, ma salendo su un anonimo "bus". 

A Miami funziona così: se vuoi prendere il "bus" gli fai un cenno dalla fermata ed esso si ferma.

Fin qui tutto uguale.

Stranamente, però, a Miami puoi salire su senza violentare il muro umano che nei tram romani si stipa contro le entrate (e le uscite) e trovi anche posto a sedere.

Prima di prendere posto, l'autista ti saluta e ti chiede come stai.

Già lì pensi di stare su "Candid Camera" o qualche programma simile dove ti prendono per il bavero e ti guardi in giro un po' sospettoso. Non vedendo movimenti sospetti, rispondi "Ciao, fine thank you, l'America is great" ... mischiando un po' le lingue così il pover uomo capisce che, quando e se chiederai indicazioni stradali, non dovrà partirti di "slang" a tutta canna.

Per fare il biglietto non devi girare seicento tabaccherie sempre chiuse quando hai bisogno, ma puoi farlo direttamente sul bus.

Se sai quanto devi mettere nella macchinetta lo fai da solo, altrimenti lui/lei (tantissime donne) ti aiuta, e tu puoi infilare le banconote al contrario o starci anche un secolo a scegliere le monetine giuste e nessuno dei passeggeri sclera.

Se c'è una persona diversamente abile alla fermata, l'autista si ferma, prepara lo spazio per la sedia a rotelle (tante macchinine elettriche) piegando i normali sedili, poi con tranquillità scende e mette la pedana speciale per far salire la persona. 

Se sei un amante della  bicicletta la puoi sistemare nel porta-bici situato sul muso del bus, e tutti aspettano senza emettere un fiato che la appendi e che la togli (immagina qui i commenti ... "dajeeee bbelloooo, 'nnamooo!!). 

Ciò che mi ha colpito di più però, è stata una piccola cosa.

Una vecchietta è salita e con calma è andata a sedersi sugli ultimi sedili, senza avvinghiarsi alle maniglie, senza tuffarsi sul primo posto libero. Solo pochi secondi dopo ho capito perché: lo sguardo dell'autista la seguiva nello specchietto retrovisore. Il bus non è partito finché la donna non si è messa comoda, e lei, sapendo quello sguardo premuroso su di sé, prendeva il suo tempo.

Qui usa molto dire alle persone "Take your time".

Credo che sia bellissimo regalare tempo e rispettare il tempo degli altri, ed in questo, purtroppo, abbiamo molto da imparare. 

Sono entrata in un sogno. Non era Magic Kingdom. 

Era un paese dove ogni bambino vorrebbe prendere l'autobus e coltivare il proprio tempo.

 

E a te succede di avere la sensazione di essere padrone del tuo tempo?

Quante volte ti accade?

C'è un episodio significativo che vuoi raccontarmi?

Scrivi una mail a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.  con i tuoi pensieri sul tempo, leggerò con cura ogni racconto!

 

Giorni fa ho subito un lutto molto pesante. Laura, la mia amica del cuore, è morta improvvisamente ed io sono stata fra i primi ad arrivare a casa sua. Sono grata per aver avuto la possibilità di salutarla, per essermi presa il mio lungo, infinito tempo con lei. Ho avuto modo di stare in silenzio vicino al suo corpo, ho potuto accarezzare i suoi capelli e sfiorare con dolcezza, per l’ultima volta, il suo viso a me così caro. 

Il peggio è venuto dopo qualche ora. Con l’arrivo di amici, parenti, dottori, preti e necrofori siamo entrati in un frullatore di emozioni, parole e azioni che hanno reso il momento di dolore ancora più complicato.

So che niente è in grado di evitare il dolore che si prova nel vedere scomparire all’improvviso un proprio amato, ma da osservatrice delle relazioni umane e da “esperta del cambiamento”, non posso che mettermi alla ricerca di risposte che ci aiutino a vivere meglio, per quanto possibile, una fase di transizione così delicata.

Prepararsi alla morte. Un’operazione possibile?

Sono tanti i motivi per cui proviamo dolore nel momento della morte di un proprio caro e non esiste un modo di soffrire che sia uguale per tutti. Ognuno ha la propria maniera di affrontare la sofferenza, e anche nel corso della propria vita nessun lutto è mai uguale ad un altro.

Credo, però, che ci sia un motivo di sofferenza che ci accomuni tutti: il non essere preparati. Ma si può mai essere preparati alla morte? A mio avviso si, o meglio no, se non si parte da una giusta preparazione alla vita. 

Prepararsi alla vita. L’importanza del concetto di “ciclo vitale”

“Per essere preparati alla morte occorre prepararsi alla vita.”

Cosa intendo con queste parole? Con “essere preparati alla vita” intendo l’essere messi in grado di poter affrontare al meglio le varie fasi di cambiamento che il ciclo vitale prevede per ciascuno di noi.

Ogni fase del nostro sviluppo come esseri umani prevede delle sfide che portano in sé degli ostacoli, difficoltà più o meno prevedibili che caratterizzano quel passaggio lì e non altri. 

Per esempio, quando un ragazzo entra in adolescenza è prevedibile che possa sviluppare dei comportamenti di opposizione rispetto alle regole familiari, che possa chiudere o variare la comunicazione con i propri genitori, che possa sviluppare delle insicurezze e delle ansie legate alle modificazioni che avvengono nel proprio corpo. Non è detto che ciò accada, ma è molto probabile che uno o tutti questi comportamenti possano apparire, spaventando i genitori che non riconoscono più il proprio “pargolo”. 

Conoscere da prima quelle che sono le criticità tipiche di ogni passaggio del ciclo vitale è un ottimo strumento per non perdere la direzione e per mantenere la fiducia nelle proprie possibilità di risolvere problemi considerati “normali” per quella fase. 

Oltre ai problemi prevedibili, ci sono anche quegli eventi che arrivano inaspettatamente, la classica legnata fra capo e collo, ed il caso della morte della mia amica ne è un classico esempio. 

Sono terremoti improvvisi, dolori lancinanti che si abbattono sul nostro mondo rendendo ogni paesaggio più povero e privo di colore.

Anche in questi terribili casi, possono essere adottati un pensiero e delle strategie che ci rendono più forti, nonostante la sofferenza e la vulnerabilità sperimentata in tali momenti. 

Molte persone sono naturalmente portate a far tesoro del dolore che ricevono e a trasformarlo in benzina per ripartire più forti di prima, altre non riescono a reagire e devono essere aiutate a superare in modo costruttivo le proprie sofferenze. 

La felicità non è un evento casuale, essere felici nonostante tutto è una scelta fatta di tanti tasselli che si incastrano in sequenza. Come costruire i tasselli, e come organizzare dei bellissimi disegni è un’arte che si può apprendere in qualsiasi momento e a qualsiasi età.

Le lacune formative dell’epoca moderna, pensiamo di sapere tutto di tutto e non sappiamo nulla di noi stessi 

Nella mia esperienza, ho potuto constatare quanto anche nel nostro modernissimo e informatissimo mondo manchi un’adeguata “istruzione” rispetto alle prevedibili difficoltà che accompagnano i diversi momenti dell’esistenza. Oltre a non sapere, siamo anche lasciati soli, senza una guida, nel momento in cui queste difficoltà puntualmente prendono forma.

Prendiamo l’esempio della nascita di un figlio. Quanti di noi sono davvero preparati a questo evento?

I media e le pubblicità ci fanno pensare che crescere un bambino sia una passeggiata di salute all’ombra di girasoli e sorrisi, ma… siamo davvero tutti consapevoli fino in fondo dei dei disagi e delle fatiche che comporta il diventare genitori? Un tempo, prima di stringere al petto il proprio bebé, le donne avevan visto partorire zie, sorelle e magari anche la loro stessa mamma.  Erano coscienti della fatica che comporta la crescita di un figlio e potevano contare sull’aiuto del gruppo familiare. Oggi, può capitare di arrivare a casa con il nostro fagottino urlante senza mai aver visto prima un neonato e senza sapere dove mettere le mani. Questa mancata “preparazione” e l’assenza di figure-guida alle quali appoggiarsi, possono causare nei genitori ansia, stress e nei casi peggiori stati depressivi molto pericolosi per la vita della mamma e del bambino. 

Lo stesso stordimento può verificarsi di fronte alla malattia, quando rimaniamo impietriti di fronte alle parole di un medico non troppo empatico che ci comunica una diagnosi nefasta, oppure di fronte alla morte, non riuscendo a toccare il corpo della persona cara che si è appena spenta o non accettando per anni che il fatto si sia realmente verificato. 

Questo tipo di “lacuna formativa” tocca molti passaggi fondamentali della vita dell’uomo e della donna, dal menarca all’andropausa, dal parto alla morte, passando per tutti gli step intermedi.

Ma perché se certi eventi sono inevitabili e parte integrante della vita, non dedichiamo tempo ed energie per “prepararci” al meglio delle nostre possibilità? La paura, la vergogna, il pudore possono essere i nostri grandi ostacoli sul cammino.

 

La paura si combatte con la felicità. Come arrivare a questa meta ambita? 

Come costruire la felicità: l’importanza di crescere con le giuste informazioni

In famiglia il pudore, la vergogna e la paura spesso bloccano la comunicazione sui temi legati al sesso, alla malattia e alla morte. 

In molti casi manca persino il tempo materiale per aprire certi discorsi: si lavora, si mangia, si dorme, poi ti svegli un giorno e tuo figlio ti sta chiamando dal Campus. 

E se in famiglia non si parla, a scuola le cose non vanno meglio. I programmi sono datati e non prevedono la cura di intelligenze diverse da quella logica e verbale, manca totalmente l’attenzione allo sviluppo dell’intelligenza emotiva e i temi legati alla sessualità e all’affettività sono trascurati e messi dietro ad altre “priorità”.

Leggere libri di psicologia, fare corsi di crescita personale, crearsi una propria cultura su questi temi, sono strumenti essenziali per poter affrontare al meglio le sfide che la vita ci propone. 

Anche ricorrere all’aiuto di un esperto può aiutarci ad allargare il nostro punto di vista sui problemi e può essere di grande beneficio nel riordinare le emozioni scatenate dai bruschi cambiamenti.

Come costruire la felicità: l’importanza di creare antidoti al dolore

Oltre ad acquisire le giuste informazioni su quelle che sono le difficoltà tipiche di ogni fase di vita, occorre anche mettere il focus su quello che possiamo definire il nostro “giardino interiore”, creando dei veri e propri antidoti al dolore. 

Da ciò che osservo nel mio lavoro e dal tipo di problemi che le persone mi confidano, nasce in me la certezza che non stiamo dando la giusta attenzione a quelli che sono i valori fondamentali legati alla felicità di ogni essere umano. Inseguiamo spesso situazioni che una volta raggiunte non ci rendono felici, desideriamo sovente oggetti che una volta ottenuti mettiamo da parte. Siamo sempre alla ricerca di qualcosa che non c’è.

Quanto del nostro tempo è dedicato a capire quali sono i valori nei quali ci riconosciamo? 

Quanto ad affinare le abilità cardine che sono utili alla costruzione della nostra realizzazione personale?

È essenziale iniziare a coltivare fin da giovanissimi quelle qualità e quelle abilità che ci renderanno più forti e preparati a fronteggiare gli eventi.

Le medicine che stimolano la nostra felicità sono anche gli antidoti efficaci contro l'incertezza e il dolore che la vita ha previsto per noi.

Le tradizioni filosofiche più antiche, le discipline orientali e anche la psicologia positiva, nel suo piccolo, sono in grado di fornire gratuitamente una piccola preziosissima cassettina di attrezzi essenziali per vivere meglio e per affrontare i momenti di estrema difficoltà. 

Consapevolezza, coraggio, generosità, gratitudine, gentilezza, capacità di accettare, saper mettere da parte il proprio ego, riuscire a cogliere la bellezza collaterale, sentirsi parte della natura e del cosmo, restare nel qui e ora: questi sono solo alcuni degli strumenti che dovremmo conoscere, acquisire e saper maneggiare con cura. Abilità, pratiche e qualità spesso ritenute poco utili nella vita e che invece sono strumenti in grado di salvarci anche dalla morte. 

Mi chiedo se un giorno riusciremo a raggiungere un livello così alto di evoluzione interiore, e lo spero intensamente. La motivazione che muove il mio lavoro è la certezza che ognuno di noi possa fermarsi a riflettere sul proprio agire nel mondo e chiunque sia in grado di cambiare, un piccolo pezzettino alla volta, il proprio pensare, il proprio sentire e le azioni che ne conseguono.

Da oggi io stessa continuerò a fare tutte le azioni che so essere utili e preziose al mio benessere, affinché la gioia venga coltivata. 

Proverò ad agire sui miei pensieri, tentando di prendere questo dolore e a trasformarlo in profonda gratitudine per tutto ciò che ho potuto cogliere da questo legame così intenso e profondo. Incontrerò la mia amica in meditazione, o nei sogni che sempre faccio, pieni di colore, amore e vita. 

Infine, adopererò le mie energie affinché da questa esperienza nascano dei bei pensieri e dei progetti che possano essere utili, affinché tutti i semini piantati dalla mia amica Laura nascano e crescano nel calore del sole.

Dedicato a Laura Moreschi alias Lalla Palla. Che il tuo sorriso continui a portare luce su ogni cuore triste.

 

Pagina 2 di 6
Salva
Cookie: preferenze utente
Utilizziamo i cookie per assicurarti la migliore esperienza sul nostro sito web. Se rifiuti di utilizzare i cookie, questo sito Web potrebbe non funzionare come previsto.
Accetta tutti
Rifiuta tutti
Leggi tutto
Analytics
Tools used to analyze the data to measure the effectiveness of a website and to understand how it works.
Google Analytics
Accetta
Rifiuta
Finzionali
Cookie di Sessione del Sito Web
Accetta
Rifiuta