Quando ero piccola avevo fatto amicizia con un bambino: A.
Non era nel mio gruppetto, ci vedevamo nella piscina dei piccoli del mio stabilimento all’ora del bagno, o meglio, "alle ore”del bagno, visto che ci ricordavamo di uscire dall’acqua solo quando avevamo le labbra viola e i polpastrelli rattrappiti dal freddo.
Al tempo, noi bambini eravamo molto liberi, circolavamo in spiaggia dalla mattina alla sera, facendo capolino in cabina solo nel momento della fame.
Una pesca, due albicocche, la pizza bianca con il sale grosso che si scioglieva sulla lingua, le rosette preparate infilando al volo con le dita il prosciutto nel taglio già operato nel pane dalla salumiera di fiducia sotto casa.
Trascorrevamo le ore calde nella piccola sala giochi o sull'asciugamano steso fra le cabine, raccontandoci storie e cantando le canzoni che i miei amichetti avevano imparato in colonia. Poi, appena la sabbia non ustionava più, ricominciavamo a gironzolare.
Prima alle altalene giocando a "Chi salta più in alto e lontano", sperando sempre di non saltare al Fatebenefratelli, e poi alternando luuuuunghi bagni tra mare e piscina.
Una vitaccia insomma!
Ma torniamo ad A.
Castano, occhi grandi, si era capito dal primo incontro che fra noi c’era del tenero. Il nostro gioco preferito era andare sott’acqua e fare finta di sposarci, come fossimo pesci o sirene, non era ben chiaro, e neanche troppo importante.
Un giorno, mi pare di ricordare che lui avesse portato anche degli anellini, forse dei pezzetti di metallo presi da qualche lattina abbandonata, ho ricordi confusi al riguardo, sicuramente a causa di come andò a finire la nostra love story subacquea.
Ciò che ricordo bene, è che tuffo dopo tuffo, immersione dopo immersione, ad una certa mi sono stufata di sguazzare su e giù per la piscinetta come pinguini monogami e ho cominciato a dare segnali di noia e disinteresse per quel gioco.
A. non l’ha presa bene e da quel momento se capitavamo vicini lui approfittava per farmi male. Calcetti, pugni, scherzi brutti. Ho iniziato ad avere il terrore di incontrarlo.
Al tempo non ero molto forte.
Bassina di statura e secca al midollo, mi trovavo a combattere contro lui che era forse un anno o due più grande e anche bello in carne.
Sempre al tempo, i miei genitori erano già separati, mia mamma lavorava e mi affidava a mia zia per le ore del mare, ma mio papà quando tornava dai voli faceva spesso delle improvvisate e passava a farmi un saluto.
Approfittai di una di queste visite per raccontargli il mio problema.
“Qual è A.?”
“Quello”
“Dove ha la cabina?”
“Laggiù”
Il giorno dopo A. mi fissava rabbioso, ma ... ad una certa distanza.
Non so cosa mio padre disse, a lui o ai suoi genitori, non ho mai indagato su come avesse gestito questa importantissima lezione pedagogica .
Quel che so è che una buona comunicazione fra me e lui mi ha sempre protetta da guai più grossi.
Riconoscere le nostre emozioni, riuscire a starci sopra, saper scegliere le reazioni corrette, imparare a cogliere le emozioni nei nostri figli, dar loro gli strumenti per capire cosa accade dentro le loro menti e nei loro corpi, allenare il dialogo.
Sono tutti salva vita.
Non dimentichiamocelo mai.
Solo così creeremo un clima di rispetto e fiducia e offriremo a chi ci sta vicino la possibilità di chiedere aiuto.
E a te è capitato di voler chiedere aiuto e di non averlo fatto?
O di voler parlare di un episodio in cui non hai dato il meglio di te e per il quale vorresti scusarti?
Raccontami in un messaggio o in una mail gli episodi che ti sono stati utili per crescere e cambiare, sarò felice di leggerti e di risponderti personalmente :)
p.s. Grazie papà
Avrei voluto anche io proteggerti.